Sulla scena da oltre un quarto di secolo, Alessandro La Corte è un autentico animatore della vita jazzistica salernitana e della Campania in generale, nella quale questo pianista e arrangiatore si è mosso (e si muove) con disinvoltura e ha finito per essersi trovato al fianco di quasi tutte le grandi personalità del jazz della sua terra. Per La Corte, il cuore batte verso la musica e il pianismo di McCoy Tyner, soprattutto quello meno studiato dei gruppi degli anni settanta, quando la sua maturità di strumentista, solista e compositore ha raggiunto il vertice del suo percorso creativo. Nell'album lo si nota non solo nel brano esplicitamente dedicato all'artista afroamericano, ma anche nelle scelte armoniche, legate al peculiare gioco tonale modale che Tyner ha reso celebre e che è rimasto il suo marchio di fabbrica, e persino nella densità di una musica di crescente intensità emotiva che La Corte ha realizzato alla testa di un quintetto nel quale lascia spazio anche al piano solo, al canonico trio con contrabbasso e batteria e persino a un ensemble in cui può rivelarci le sue doti di arrangiatore. Quando scrive per una big band, La Corte alterna pieni e vuoti, lascia che i fiati siano densi, dal sound ricco, ma anche leggero, quasi vaporoso nelle parti degli ottoni ed è estremamente singolare nel rilievo, quasi plastico, assegnato al sax baritono, che emerge nettamente dagli impasti orchestrali. Nelle pagine per quintetto si muove insieme a una ritmica affiatata, che segue il progressivo crescendo d'intensità e le direzioni della sua musica, e a due sassofonisti assolutamente diversi tra loro con i quali può ricreare quel contrasto creativo che segna indelebilmente la sua poetica: Jerry Popolo e Carla Marciano. Il primo trae alimento dalla grande tradizione del sax tenore jazzistico di impronta moderna, esprimendosi con calore, chiarezza melodica e fraseggiando con un suono ampio e ricco di armonici, dove si conferisce profondità e rilievo a ogni singola nota. La seconda, compagna del pianista anche nella vita, ha in John Coltrane il suo punto di riferimento e fa dell'intensità la cifra prioritaria del suo torrenziale, lancinante, penetrante uso del sassofono sorretto da qualità strumentistiche di valore assoluto. Insieme, Popolo e la Marciano, coprono un'ampia tavolozza di colori e si completano a vicenda dando un senso orchestrale anche alle pagine per piccolo gruppo e dimostrando così di essere assolutamente congeniali al pensiero del pianista. Del resto, la scelta dei partner deve tenere conto delle caratteristiche della musica e delle intenzioni progettuali del leader, se questo è veramente tale, perché solo in compagnia di musicisti congeniali alla propria idea musicale può raggiungere i suoi obiettivi artistici. Quindi, questa proposta si realizza con musicisti funzionali e partecipi, presenta riferimenti storici assolutamente dichiarati, propone precise connotazioni espressive e un modo di fare musica che privilegia il desiderio di portare la dimensione concertistica, il climax tipico del live, anche in studio di registrazione (per questo i brani hanno uno sviluppo temporale ampio, ma necessario per questo tipo di musica). Se questi sono gli elementi principali del disco, esso potrà piacere o meno oppure essere criticato per aver dichiarato la sua origine (ma è questa una colpa?), però gli si dovrà riconoscere l'indiscutibile pregio della chiarezza e della coerenza poetica. Una dote che si ritrova anche nell'esecuzione di due song provenienti dal mondo della musica popular, come i celeberrimi brani di Paul Simon e dei Beatles, resi con mentalità jazzistica, non pseudo pop, che nel caso di Yesterday riesce nella non facile impresa di trasformare questo capolavoro intoccabile, quanto lontanissimo dal jazz, in una vera e propria ballad jazzistica.
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