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Popperiano "di sinistra", liberale e difensore del ruolo dello stato, Dahrendorf ha qui raccolto una serie di scritti occasionali, sistemati in ordine cronologico, che prendono in esame alcune grandi questioni poste dalla "ripresa" della storia nel 1989. A partire, naturalmente, dalla tesi di Fukuyama sulla "fine della storia", nella quale Dahrendorf individua due errori di fondo: in primo luogo, ovviamente, il presupposto hegeliano (l'idea che la storia sia un percorso che porta a una meta necessaria); in secondo luogo, più in particolare, la prospettiva in base alla quale, con il trionfo della democrazia occidentale, ogni grande movimento storico cesserebbe per sempre. Il 1989 ha invece messo fine alla lunga "stagnazione" prodotta dalla guerra fredda e ora il mondo si è "riaperto": la crescita, per tentativi ed errori, è nuovamente possibile. In questa prospettiva di grandi opportunità e di grande incertezza, un tema, su cui ripetutamente Dahrendorf si sofferma, è rappresentato dalla "terza via", vale a dire il neoriformismo dei new democrats clintoniani e del New Labour di Tony Blair. Ammiratore della liberaldemocrazia alla Keynes (per l'intervento pubblico in economia) e alla Beveridge (per lo stato sociale), l'autore esprime serie perplessità sul tentativo di formulare una nuova ideologia unitaria, come gli intellettuali della terza via (Anthony Giddens e Ulrich Beck) tendono a fare. Inoltre, e questa è forse una delle riflessioni più importanti presentate nel libro, l'idea neodemocratica e neolaburista di un superamento delle tradizionali istituzioni statali, in un processo di "internazionalizzazione delle decisioni", pone, secondo Dahrendorf, seri problemi di controllo democratico. Basti pensare alle scelte su pace e guerra o anche agli atti legislativi dell'Unione Europea.
Giovanni Borgognone
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