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Nell'epoca della tecnologia, dei mercati che sembrano poter soddisfare ogni bisogno, dell'apparire, e di tante altre insensatezze, poche cose possono farci ritrovare il contatto con le radici del nostro essere, che nonostante tutto resistono e aspettano solo di essere viste per riprendere a germogliare. Una di queste è la poesia. Carla de Falco ci invita con questa silloge a ri-vedere la nostra storia, anche il nostro quotidiano, attraverso il suo sguardo penetrante, in un percorso che parte dai colori forti delle "radici", che per lei affondano in una città contraddittoria come Napoli, affascinante e respingente, magnifica e minacciosa: come il topazio del suo mare e l'ombra incombente del suo vulcano. Una scrittura limpida e fortemente immaginale dipinge senza sbavature l'intensità delle emozioni che accompagnano esperienze comuni a tutti noi, come l'amore, la delusione, la nascita, i lutti, ma su tutto sentiamo la profonda consapevolezza dell'impossibilità di una totale appartenenza alla terra-madre, come a qualunque altra verità definitiva: è la vita stessa, giocata sul filo che corre tra bisogno di certezze e desiderio di conoscere, tra voglia di restare e impulso ad andare oltre, a esigere il rischio della caduta, pena l'inaridimento all'interno di schemi precostituiti, che offrono solo un'illusoria rassicurazione. Un libro di poesia, dunque, perché il linguaggio poetico per sua natura ci spiazza e costringe al silenzio le troppe, inutili "chiacchiere" e il "rumore" assordante della banalità. [La silloge ha vinto l'VIII Premio Hombres, 2012 e il premio Letterario Nazionale Leandro Polverini (2012), oltre ad essere stata segnalata al Festival d'autore Dieci Lune (Napoli 2012)]
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