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Tra le questioni lasciate in eredità dal Novecento, vi è quella del soggetto, su cui l’interrogazione filosofica continua ad esercitarsi raccogliendo la sfida lanciata dalle correnti di pensiero che contro il soggetto, specificamente cartesiano, hanno costruito la propria legittimità. La tradizione francese uscita dalla fenomenologia e aperta alle scienze sociali di recente formazione – dalla psicoanalisi alla linguistica e all’antropologia – più di altre si è impegnata sul terreno della critica della tradizione cartesiana e, dunque, di uno statuto del soggetto che si reggesse sulla sua equivalenza e coincidenza con la coscienza e la conoscenza e, quale corollario di questa impostazione, sulla sua distinzione e separazione dal corpo. Il lavoro di Stefano Righetti si inoltra in queste tematiche analizzando l’opera di Foucault, tra i filosofi della seconda metà del Novecento che più ha dedicato la propria ricerca al problema del soggetto e alle procedure di soggettivazione. Righetti adotta un filtro particolare, quello del rapporto anima-corpo, per ricostruire una "teoria del soggetto" che corregge alcuni pregiudizi a proposito della ricerca di Foucault. Muovendo dalle relazioni/differenze tra Foucault e Merleau-Ponty, Righetti mostra come la ricerca di Foucault giunge a rinnovare la validità del dualismo anima-corpo, in cui il corpo è il centro anarchico-biologico degli istinti e l'anima il lavorio che il sapere-potere esercita su esso; e a ridare dignità ad un soggetto in un primo tempo troppo schiacciato sul paradigma dell'assoggettamento, della passività nei confronti del potere. Il soggetto degli ultimi lavori di Foucault, dismesse le velleità metafisiche della sostanza, potrebbe essere inteso come un compito infinito di libertà, puntuale e locale, che si snoda tra la cura di sé degli stoici e degli epicurei e il superuomo nietzschano. Una prospettiva che ricentra il lavoro di Foucault sulla sua più intima vocazione: l'individuo al di là dell'uomo delle scienze umane.
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