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Sono veri e propri poemi in prosa quelli proposti dal malgascio Raharimanana, e come tali sfruttano ogni risorsa tipografica, retorica e strutturale per creare il ritmo della poesia. L'intensità di ognuno di questi episodi non si indebolisce con la sua conclusione, ma esplode in un'immagine potente o si ritrova nella struttura di un altro racconto. Cambiando contesto, cambiando storia, rispondendosi tra loro, i simboli diventano versatili e polisemici, e come nella poesia proverbiale malgascia dell' hain teny acquisiscono un significato diverso a seconda del contesto. Dei poemetti baudelairiani la prosa di Raharimanana ritrova anche l'immagine disturbante e l'orrore grandioso, associato a volte a una specie di tenerezza orrida. La materia che cementa ulteriormente l'unità di questi brevi testi giustifica queste immagini terribili: il volume infatti è dedicato a "Ruanda e annessi". Il modo che ha il narratore per avvicinare la guerra esasperandone spesso la morbosità e lo scandalo porta con sé la violenza supplementare dello zapping televisivo e il cinismo della citazione decontestualizzata. Ma la presenza del male, la morbosità dell'odio non sono fini a se stesse. Il dito puntato sulla guerra etnica, sul trapianto di organi, sulle migrazioni dolorose diviene prospettiva sulla sofferenza umana, e spinge a una riflessione che non può prescindere dalla contemporaneità, ma deve uscirne per farsi ricerca. "Dico e voglia Dio che ci siano orecchie tese...".
Paola Ghinelli
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