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Un ritratto tenero e puntuale di un sottoproletariato americano nascosto
The Florida Project racconta la storia di una vivace bambina e del suo gruppo di amici le cui vacanze estive si riempiono della sorpresa, dello spirito di possibilità e del senso di avventura tipici dell'infanzia mentre gli adulti intorno a loro attraversano tempi difficili. Hanno circa sei anni e riescono ancora a trasformare una realtà fatta di fast food, trash televisivo e quotidiana miseria in un'avventura. Moone è una piccola canaglia, la sua giovane mamma Halley si muove lungo il confine tra legalità e crimine e l'unico che cerca di tenere insieme le cose è Bobby, il manager del Magic Castel Hotel dove vive Moonee.Un sogno chiamato Florida dvd 8032807072623 italiano custodia standard come nuovo nuovo non sigillato 123 * 1 23/04/25
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Spaccato sociale contemporaneo e per questo potente e diretto.
Potrebbe sembrare una trama piuttosto banale a raccontarla: ma a fare la differenza è il "come". Troppo spesso il punto di vista adottato per raccontare situazioni di disagio è esterno e onnisciente; qua, invece, la vicenda è vista tutta attraverso gli occhi dei bambini (così non vedremo una scena di violenza, ma un bambino che la osserva, e via dicendo). Questo conferisce alla narrazione una leggerezza che evita di far scadere il tutto verso un certo compiacimento moralistico, e rende la storia, alla fine dei conti, ancora più struggente.
Questo bellissimo film racconta le vita di adulti e bambini che vivono -o lavorano- in un motel a Orlando, in Florida. Nonostante si trovino vicino a Disney World il parco divertimenti non si vede quasi mai, perché il motel è frequentato da gente molto povera e con problemi di vario tipo. I personaggi principali che seguiamo nel susseguirsi delle coloratissime scene sono tre: una giovane madre, la figlia di sei anni e il gestore del motel. Si tratta di un film colorato e allegro ma, allo stesso tempo, triste e straziante. La particolarità della pellicola è che riesce a raccontare la verità, anche se cruda, in un modo magico e che trascende la realtà degli eventi. Una storia bellissima, una particolarissima fotografia e fantastiche interpretazioni degli attori ne fanno un film imperdibile.
Recensioni
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Qui non è Disneyland
Nel film più poetico dell’anno un gruppo di bambini cerca la normalità in una delle tante sacche di povertà e degrado degli USA. Con un Willem Dafoe più bravo che mai.
Il Florida Project del titolo originale è letteralmente l’altra faccia di Disneyland, quella che si trova a pochi passi dal Paese delle Meraviglie. Nelle intenzioni, la periferia intorno al megaparco dei divertimenti di Orlando avrebbe dovuto diventare un’area residenziale per la comunità americana di domani, ma oggi è di fatto una schiera di grotteschi motel dai nomi fiabeschi o futuristici. E in cui, naturalmente, della fiaba non c’è nemmeno l’ombra.
In una di queste strutture, chiamata Magic Castle (più che un castello, una casa popolare), vive sotto la soglia della povertà la giovanissima Halley con la figlia Moonee. E mentre la madre cerca di arrivare a fine mese come può, sempre al limite della legalità, la bambina, insieme agli amichetti Scooty, Dicky e Jancey, trasfigura quella realtà degradata trascorrendo ogni giorno come se fosse un’avventura, tra incursioni negli edifici abbandonati, gare di sputi e nuove invenzioni per scroccare gelati ai passanti.
L’attenzione per chi vive ai margini, raccontato sempre con una verità e un rispetto disarmanti, è una delle caratteristiche del cinema di Sean Baker, tra le voci più originali ed interessanti del circuito indie. E dopo aver dimostrato che si può girare un film bellissimo come Tangerinearmati solamente di iPhone, il regista realizza con Un sogno chiamato Florida (no comment sulla scelta del titolo italiano) la sua pellicola più costosa. Un piccolo capolavoro che segue queste simpatiche canaglie contemporanee con uno stile a metà fra il trasognato e quello che si potrebbe definire un neorealismo tipicamente indie.
Baker ha la capacità di ritrarre con potenza e meraviglia la nuova povertà a stelle e strisce, mettendo la camera ad altezza di bambino e puntando moltissimo sul contrasto creato dai colori pastello, a partire dal viola del Magic Castle, sulla luce e sul cast. Se Brooklyn Prince, ovvero la piccola e tremenda Moonee, è un vero e proprio ciclone di naturalezza e talento, gli altri ragazzini e la mamma, interpretata dall’esordiente Bria Vinaite, non sono da meno.
Ma a tenere tutto in equilibrio è Willem Dafoe – in una performance da Oscar, una delle più profonde della sua carriera – nei panni di Bobby, il custode del residence dove vive Moonee, che si trova a essere l’unico adulto responsabile nel mondo dei bambini e, suo malgrado, la cosa più vicina a una figura paterna, anche per le madri. Un film terribilmente allegro e dolce, devastante ma mai disperato, sull’America dimenticata.
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