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Il sogno tedesco. La nuova Germania e la coscienza europea
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1993
160 p.
9788879890113

Voce della critica

ORSI, ALESSANDRA, Berlino Est. L'ultimo che se ne va spenga la luce

BOLAFFI, ANGELO, Il sogno tedesco. La nuova Germania e la coscienza europea
recensione di Costadura, E., L'Indice 1994, n. 1

Mentre in altri paesi europei, più direttamente implicati dalla riunificazione tedesca, il nuovo genere letterario del "viaggio in Germania" è divenuto ormai un esercizio obbligato per scrittori e giornalisti (ma sono un caso a parte, per acutezza analitica e densità poetica, le "Berliner Notizen* di Cees Nooteboom, (Suhrkamp, Frankfurt 1991), in Italia è sinora mancato un libro pensato per spiegare la Germania alla luce non solo degli ultimi avvenimenti ma anche, e soprattutto, della storia. Anche "Capire la Germania" di Gian Enrico Rusconi (Il Mulino, Bologna 1990), pur fornendo un ampio materiale e una cronaca serrata e ragionata della "rivoluzione pacifica" del 1989, paradossalmente non aiuta a capire la Germania. Ora due libri, uno firmato dal filosofo Angelo Bolaffi, l'altro scritto dalla germanista "on the road" (come recita il frontespizio) Alessandra Orsi, vengono a colmare questo vuoto.
Il sogno tedesco (ossia: "che la Germania possa finalmente divenire 'una nazione sazia'", è, diciamolo subito, un filtro necessario. Bolaffi si avventura nel labirinto della "questione tedesca" mettendone a nudo alcuni nodi cruciali: la situazione geopolitica ambigua e instabile della Germania, il suo oscillare tra Oriente e occidente, la funzione storica del protestantesimo, le conseguenze della costituzione ritardata della nazione tedesca moderna con Bismarck, le radici di un'identità nazionale legittimata dal solo concetto di popolo. Donde la necessità, per il governo tedesco, di portare a termine la modernizzazione istituzionale della nazione tedesca: universalizzando il concetto di popolo, varando una riforma del 'code de la nationalité'. E l'obbligo, per i partner europei, di favorire questa evoluzione evitando di suscitare abusivamente i fantasmi della storia.
Non altrettanto convincente appare la requisitoria rivolta contro il "fronte popolare dello spirito" (espressione alquanto infelice) che in Italia si ostina a distorcere la storia tedesca (soprattutto Weimar e la Rft), e contro gli intellettuali mandarini che si sono opposti alla riunificazione (Grass, Habermas). Un 'plaidoyer' pro Germania che si articola su tre diversi piani: storiografico, polemico-politico, e personale-sentimentale.
C'è infatti, ci dice Bolaffi, un'altra Germania che è doveroso disgiungere da quella, tenebrosa, che ha portato al nazismo. Una Germania che si è incarnata tre volte nella storia: con l'illuminismo, con la Repubblica di Weimar, e con la Repubblica federale. Sulla Rft e Weimar Bolaffi si sofferma a lungo; ma non convince l'occultamento sistematico degli episodi oscuri della Repubblica federale, da Kiesinger a Stammheim; n‚ convince la trattazione alquanto defilata e lacunosa del 'Grundgesetz' (segnatamente per quanto attiene al principio dello 'jus sanguinis'). Resta inoltre tutta da discutere la tesi di una Repubblica di Weimar che sarebbe sfociata nella prima vera esperienza di società democratica di massa, "vera rivoluzione, l'unica degna di questo nome".
E resta del tutto misterioso il senso assegnato da Bolaffi al termine di 'Aufklarung', pur sempre legato, in Germania, a un periodo di frustrazioni e di fallimenti. E qui siamo nel cuore della questione: contrapponendo, artificialmente la "buona" alla "cattiva" Germania, Bolaffi si condanna a non capire il nesso profondo che le unisce, incorrendo inevitabilmente in una singolarissima mistificazione - attribuendo cioè la responsabilità di Auschwitz a un "genio maligno" che si sarebbe impadronito "del codice segreto dell'animo" del popolo tedesco. Viene da pensare al 'malin génie' di Descartes, non, certo, allo "Spirito della Storia" da Bolaffi più volte invocato. Invece di seguire i vari Dumont e Parsons, forse qui è il caso di ripercorrere "Die verspàtete Nation* di Helmuth Plessner (1935, 1959), dove si potrà leggere un'illuminante analisi delle radici della "seducibilità dello spirito borghese tedesco": il "complesso romano", ovvero l'ostilità tedesca nei confronti della latinità e del concetto astratto di stato di diritto da essa veicolato (fenomeno che permette di spiegare anche il fallimento di un illuminismo tedesco); l'"introversione scismatica" generata dal protestantesimo; e la laicizzazione radicale del pensiero filosofico ed epistemologico a opera di Marx, di Kierkegaard e di Nietzsche.
Spiace inoltre il giudizio unilateralmente negativo sugli intellettuali "mandarini" (rossi, ovviamente) della ex Rft e della ex-Rdt: pedaggio pagato da Bolaffi, presumiamo, alla sua militanza nelle prestigiose colonne della "Frankfurter Allgemeine Zeitung" dirette come si sa da due grandi eversori di mandarini, Joachim Fest e Frank Schirrmacher.
Se infatti è indubitabile la sconfitta di una Christa Wolf, di un Heiner Mùller, di uno Stephan Heym, effettivamente travolti dagli avvenimenti, non altrettanto indubitabile è la loro ipocrisia, n‚, tanto meno, la buona fede dei loro detrattori (penso appunto a Schirrmacher, a Fest, ma anche a Karl-Heinz Bohrer, Ulrich Greiner e Marcel Reich-Ranicki), che solo in coincidenza con la "rivoluzione pacifica" del 1989 hanno precipitosamente riscoperto la letteratura "pura" (non engagée) come suprema virtù civile dello scrittore, rinfacciando agli scrittori della Rdt proprio quell'impegno politico in ossequio al quale li avevano per anni celebrati.
Spiace infine il tono generale del libro, che Bolaffi ha voluto fissare sin dalla solenne prefazione: tono missionario e privato al contempo, in questo partecipe dello stucchevole solipsismo che contraddistingue gli interventi raccolti da Marino Freschi nel volume significativamente intitolato "La mia Germania" (Shakespeare and Company, Firenze 1993, recensito nella pagina accanto), tra i quali figura un testo-confessione di Bolaffi ("Sotto le macerie del muro": "La caduta del muro ha segnato nella mia biografia spirituale e politica una profonda, dolorosa ma liberatrice cesura. Un trauma"). Rientrano in questa rubrica le frequenti interpolazioni tedesche spesso superflue, sorta di riti di autocoscienza tramite la lingua della propria nostalgia. Tanto che, in conclusione, viene da chiedersi quale sia il senso effettivo del sottotitolo - "La nuova Germania e la coscienza europea": o non piuttosto "La nuova Germania e la (una certa) coscienza italiana".
Domande simili sorgono alla lettura del libro di Alessandra Orsi, "Berlino Est. L'ultimo che se ne va spenga la luce": sette storie o cronache tedesche ambientate negli anni della caduta del muro. Ogni storia tratta un tema principale più o meno facilmente identificabile: lo sradicamento e lo smarrimento degli "Ossis"; l'avvelenamento della vita privata e familiare provocato dalla Stasi (questo forse il testo più riuscito); la crisi economica tedesca e il tradimento del lavoratori dell'est da parte degli imprenditori dell'ovest; i problemi giuridici connessi alla legge sugli immobili e ai processi dei 'Mauerschutzen'; il dibattito sulla legge sull'aborto; la scuola di fronte alla riunificazione; il rapporto tra tedeschi e stranieri.
La tecnica di Alessandra Orsi consiste nell'operare dei collages: alterna i testi delle sue conversazioni con "le persone nascoste dietro a ogni personaggio" a momenti di narrazione e, soprattutto, a citazioni tratte da libri (romanzi, saggi, ecc.) più o meno famosi della letteratura tedesca, recente e non.
Un espediente, questo, che in qualche misura scusa la prevalente superficialità delle analisi della realtà tedesca fornite di volta in volta dai diversi personaggi, o dalla scrittrice. Per fare un solo esempio: la Orsi si limita a constatare il ruolo di "anticamere della dissidenza politica" svolto dalle chiese, ma non ne spiega il motivo n‚, tanto meno, ricorda il macroscopico caso Stolpe che dovrebbe indurre a ridimensionare il fenomeno. La Germania, anche qui e forse più ancora che nel saggio di Bolaffi, resta una questione privata, uno strano oggetto di malinconica, autunnale nostalgia.

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