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Anno edizione: 2019
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La figura del critico letterario, che in passato godeva di un notevole prestigio, facendo pesare le sue scelte e i suoi giudizi nelle sedi deputate (case editrici, riviste, quotidiani, corsi universitari, dibattiti nei media) e aspirando al ruolo di maître à penser anche in ambito etico, filosofico e politico, si vede oggi privata di autorità da parte delle istituzioni, e di credibilità da parte del pubblico dei lettori. Tale mortificante esautorazione è forse derivata sia dal cambiamento dei metodi comunicativi (dominati dalla rete e dai media), sia dalla caduta dei modelli umanistici, sia da due opposte tendenze affioranti nella critica contemporanea: l’arroccamento in discipline specifiche da un lato, il dilagare in campi eterogenei e onnicomprensivi dall’altro, in una sorta di “espansione tuttologica”. Attualmente prevale poi la moda di sottoporre qualsiasi prodotto editoriale a statistiche, classifiche, sondaggi, valutazioni tramite “like” e stelline, per cui l’intellettuale che pure aspiri a impegnarsi in una seria ermeneutica del testo, si vede assoggettato alle esigenze del mercato, e finisce per ridursi a megafono pubblicitario. Così nell’ultimo ventennio la passione per la teoria è andata scemando, e con essa l’illusione della scientificità della critica, soprattutto per il repentino stravolgimento dei metodi di conoscenza imposti da internet e dai social. Quale la ricetta suggerita da Giulio Ferroni per ridare fiato a una disciplina che molti considerano ormai agonizzante? La indica già il sottotitolo del libro: “leggere, riflettere, resistere”. Leggere perché i libri “ci parlano di ciò che non abbiamo”, aiutandoci a mitigare le nostre ansie e a inseguire i nostri desideri. Riflettere “sull’inafferrabile oggettività del mondo”, che essendo altro da noi chiede di essere capito e interpretato. Resistere all’omologazione imposta dal mercato, che ci vorrebbe assuefatti alla pubblicità ipnotica, all’impero “del pensiero unico economico e computazionale”.
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