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Sommersione - Sandro Frizziero - copertina
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Sommersione

Descrizione


Finalista al Premio Campiello 2020.
«Non sei più sicuro di niente. Anzi, sai che il diavolo ce l’hai proprio in corpo e con il diavolo ti tocca conviverci. Sai che l’inferno è in questa terra, non ci sono dubbi, e l’Isola ne è una sorta di succursale; una filiale dell’Ade per gente di mare».

«Un vecchio pescatore può diventare molto pericoloso, soprattutto quando getta l’amo dentro di sé. Sandro Frizziero ha il dono più importante per un romanziere: sa capire gli esseri umani.» - Tiziano Scarpa

"In fondo all’Adriatico, a nord, esistono isole filiformi che separano il mare dalla laguna veneta. In una di queste esili terre Sandro Frizziero ha trovato il suo tesoro. Non un forziere di zecchini d’oro, ma qualcosa di infinitamente più prezioso per un romanziere (e dunque anche per noi lettori): uno scrigno di passioni brutali e primarie, di ipocrisia, maldicenza, invidia, avidità; vale a dire, tutti i sinonimi dell’amore malinteso. Conosco l’Isola a cui si è ispirato l’autore, perciò posso apprezzare quanto l’abbia trasfigurata in una sua potente iperbole poetica, facendola diventare uno stemma di malumori e malamori universali. Un posto da cui si riescono a vedere le stelle del cielo, sì, ma solo perché «sono i lumini di un cimitero lontano». Sommersione racconta la giornata decisiva di uno dei suoi abitanti – un vecchio pescatore – forse il più odioso; certamente quello che sa come odiare più e meglio di tutti gli altri: la vicina con il suo cane; la moglie morta; la figlia a cui interessa solo la casa da ereditare; i vecchi preti dementi ricoverati in un ospizio; qualche assassino e qualche prostituta; i devoti di un antico miracolo fasullo, inventato per coprire una scappatella; i bestemmiatori che spesso coincidono con i devoti; i frequentatori della Taverna, unico locale dell’Isola oltre all’American Bar, ma di gran lunga preferibile perché «all’American Bar non c’è ancora un sufficiente livello di disperazione». Su tutto ciò il vecchio pescatore ha rancori da spargere, fatti e fattacci da ricordare; e però gli resta da fare ancora qualcosa che sorprenderà gli abitanti dell’Isola, lettori compresi. Questo romanzo gli dà del tu, perché Frizziero ha il dono dell’intimità con i suoi personaggi, ne è il ritrattista inesorabile. Sotto le sue frasi – o dovrei dire meglio: sotto i suoi precisi e ben dosati colpi di martello – l’umanità resta inchiodata al livello più inerziale dell’esistenza: l’altro nome di quest’Isola, infatti, potrebbe essere Entropia. Una formicolante, disperata, indimenticabile Entropia". Tiziano Scarpa
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Dettagli

2020
12 marzo 2020
189 p., Brossura
9788893257350

Valutazioni e recensioni

3,88/5
Recensioni: 4/5
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Vite che sono la tua
Recensioni: 4/5
Originale

Sandro Frizziero, facendoci immergere nei ricordi, nei pensieri e nella vita quotidiana di una figura particolarmente abietta e priva di empatia, cala il lettore in un pozzo nero di malvagità senza possibilità di risalire l’abisso, quindi senza lieto fine né redenzione. Incentrato sull’introspezione, il romanzo esplora anche tematiche attuali quali il cambiamento climatico, la violenza di genere e il fascismo strisciante. L’opera con una prosa scorrevole, il cui ritmo è accentuato dalla divisione in quattro parti senza capitoli, utilizza una scrittura lucida, impietosa e a tratti informale. Nel complesso si presenta come un romanzo feroce nella sua schiettezza e a tratti disturbante tanto che alcuni passaggi, da donna, mi creano un fastidio quasi epidermico e cerco di andare veloce per superare quelli più aspri e taglienti. La sua originalità risiede nell’uso della seconda persona singolare, un tu narrante, quasi che il narratore fosse giudice e boia del protagonista. La forza e al contempo la debolezza del romanzo risiedono proprio in questo punto di vista. Se, infatti, da una parte, l’uso della seconda persona singolare da intensità al protagonista rendendolo estremamente credibile, nonostante la sua enorme abiezione; dall’altra crea una distanza emotiva che il lettore non riesce a colmare, rendendo la storia distante e le pagine prive di pathos. Attribuisco quattro stelle a questo romanzo morale solo per la freddezza che lo contraddistingue, ma, nonostante questo, v’invito a leggerlo per la sua originalità.

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Giuseppina
Recensioni: 1/5

Un linguaggio duro, spietato, violento, che non lascia spazio all'immaginazione del lettore. Sono convinta che non esiste persona che sia completamente negativa come il protagonista di questo romanzo. Sembra quasi che lo scrittore abbia raccolto in un'unica persona tutto il male del mondo, come a voler stupire negativamente a tutti i costi. La negatività che trasuda da questo romanzo è bilanciata solamente da un'ottima proprietà di scrittura, che dovrebbe comunque essere purificata da parole che assomigliano a bestemmie. Non lo rileggerei.

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Elena8573
Recensioni: 5/5

Sommersione di Sandro Frizziero Fazi Editore. Cupo, nerissimo, pessimo protagonista di un gran bel romanzo dove non esiste assoluzione ma solo dissoluzione verso un finale coerente. Una bella scrittura per raccontare una Chioggia vista con gli occhi di un uomo tormentato e senza alcuna speranza, un soggetto senza alcuna bellezza nell’animo, una persona che non si giustifica e non chiede comprensione, difficile immedesimarsi o capirlo appieno. Grazie all’ironia sottile che pervade e stempera tutto il romanzo, che nel disincanto lascia però un residuo di sorriso, digerirete pure questo pescatore che non farà nulla per farsi amare. Consigliato

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Recensioni

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Voce della critica

Secondo un detto di Eraclito “Per le anime è morte diventare acqua”, e proprio di “anime annacquate” parla il romanzo Sommersione di Sandro Frizziero da poco pubblicato da Fazi, che ci immerge nell’atmosfera nebbiosa e umida di una sottile isola lagunare ricoperta dal mare per dodici ore al giorno. L’Isola è infestata da detriti osceni, umani e non: i residui putridi rilasciati dal mare e soprattutto i suoi abitanti, che continuano a esercitare il cannibalismo dei loro antenati con le maldicenze e l’ipocrisia. Esistenze disperate e senza progetto, che vivono in un luogo in cui tutto è sempre uguale a sé stesso, in cui non c’è futuro diverso dall’inabissamento totale.

In questa “Palude definitiva” seguiamo un’intera giornata del protagonista, un pescatore in pensione senza nome a cui lo scrittore si rivolge con un “Tu narrante”. Rimasto solo dopo la morte della moglie, la[1] Cinzia, e abbandonato dalla Simonetta, la sua unica figlia fuggita sulla civile Terraferma, il nostro personaggio vive nella totale indecenza, abbandonato a sé stesso e fuori dalla comunità degli isolani, che lo accusano di aver contribuito (non si sa come) alla morte della moglie.  La Cinzia in effetti lui l’aveva sempre picchiata e vessata in tutti i modi, ma in fondo era stata una buona moglie, l’unica possibile per uno come lui che, per usare un eufemismo, non ha vissuto esattamente da persona “raccomandabile”: fedifrago, misogino, omofobo, sessuomane e abitué di prostitute, uccisore seriale di cani e gatti, ubriacone, giocatore d’azzardo e fedele bestemmiatore. Insomma, un satanasso in piena regola che, come ogni cattivo che si rispetti, esercita sul lettore un fascino magnetico.

L’esistenza del protagonista è “impastata con l’odio”: egli non crede a nulla se non alla potenza e all’autenticità di questo sentimento, che è il centro del suo manifesto esistenziale.

‹‹Odi gli alberi, le cui radici distruggono le strade, odi l’erba che screpola il cemento; odi le zanzare e le api, i gatti e i muli, le cimici e gli scarafaggi, le pantegane e i gabbiani, e tutte le altre bestie indegne del creato, prima tra tutte l’uomo. E poi odi l’estate che brucia, il vento che distrugge, il gelo, la pioggia, la neve, le stagioni, che oggi non ci sono più, e l’universo intero che poi è soltanto il cesso di dio. E se c’è davvero un dio che ti ha creato a sua immagine e somiglianza, non può che essere un dio cane, un dio ladro, mandante ultimo di ogni miseria e di ogni ingiustizia.›› (p. 127)

Il pescatore esercita l’odio con un rigore assoluto che appartiene solo ai mistici; con la sua spietata lucidità vede ogni cosa nella sua fondamentale dimensione di materialità e imperfezione, ripudiando il linguaggio vuoto delle parole che la comunità umana ha consumato. La bestemmia è l’unica forma di preghiera che il nostro protagonista conosce e con la quale esce dal suo ego insaziabile, ritrovandosi così in armonia col suono del mondo, quell’ ‹‹insopportabile rumore totale della vita›› in cui tutto sembra lamentarsi. É questa profonda visione del fondo delle cose che lo allontana dagli isolani, di cui conosce ogni intima meschinità: il prete pervertito, le beghine cornute, il professore accusato di pedofilia, il sindaco ladro, i vecchi amici squallidi e annoiati della Taverna che frequenta. Questa conoscenza totale lo fa soffrire, ma in ciò consiste il suo destino: deve sopportare quest’inferno di odio per scontare la pena di una colpa del passato a cui nel romanzo sempre si accenna e che emerge solo nelle ultime pagine, il cui ricordo però ha contorni offuscati e imprecisi.

L’insolita scelta del racconto in seconda persona infonde un tono giudicante alla voce che narra e che sviscera la coscienza del personaggio in modo crudo e brutale, come si fa con le interiora di un pesce appena pescato. Il tu crea una distanza tra narratore e personaggio che sfuma i confini: non sappiamo esattamente dove inizia la prospettiva dell’uno e quella dell’altro. Il narratore è allo stesso tempo dentro e fuori la coscienza del pescatore, entra ed esce dalla sua mente come un’onda. In Sommersione la distinzione tra interno ed esterno non è netta, tanto che i luoghi (l’Isola, la Taverna, la Terraferma) sono sempre in lettera maiuscola, come se fossero essi stessi persone.

La scrittura anfibia di Frizziero è in grado di mettere il lettore in una posizione scomoda: da un lato attrae con la sua scorrevolezza, scivola come una barca sulla superficie del mare calmo, ma al tempo stesso ci toglie l’aria, è dotata di una spietatezza respingente in cui nulla viene edulcorato, in cui il Male ha assoluto campo libero. Sommersione è un romanzo morale perché non lascia indifferenti, ma ci obbliga a scegliere, interpretando ricordi sfocati e cercando piccolissimi spiragli di Bene in questa foschia malefica che sa di sogno. Ad esempio, il fuoco che si accende nel finale, dopo pagine di sola umidità, potrebbe essere letto come un processo purificatore, che asciuga un’anima dannata dall’acqua; oppure nell’epilogo si potrebbe intravedere persino un miracolo, anche se forse troppo piccolo rispetto al mare di meschinità su cui galleggia questo atollo del Male. Ma in fondo, come ci ha insegnato Massimo Troisi in Ricomincio da tre, non esistono miracoli che valgono meno di altri. Ci sono i miracoli, e basta.

Recensione di Giacomo De Rinaldis

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Ogni sera all’imbrunire, parte dell’Isola, viene sommersa dall’alta marea. Il coprifuoco, che costringe gli abitanti a rifugiarsi in casa, a riparare le proprie abitazioni dall’acqua alta, viene annunciato dal suono di una sirena che si diffonde nella nebbia lacustre, «una sirena dal suono simile a quello di un profondo e tetro didgeridoo che sembra richiamare le anime alla valle di Giosafat, e che in realtà avvisa gli isolani che tra poco l’acqua del mare, così come avviene ogni giorno da qualche anno, ricoprirà gran parte delle terre emerse. L’intera diga scomparirà, come anche il faro e la spiaggia, il lungomare e gli orti. È singolare il destino degli uomini che uccidono i pesci tirandoli fuori dall’acqua e poi vengono a loro volta sommersi». Questo è un allenamento quotidiano che ognuno di loro compie per prendere confidenza con la scomparsa, un allenamento all’alienazione che consuma, esattamente come la terra viene erosa ad ogni passaggio dell’acqua, e che quando si ritira lascia dietro di sè una scia inanimata di oggetti ed esseri privi di vita. Di fronte al mare, un uomo con la canna da pesca, osserva assorto il muoversi irregolare della lenza, l’annuncio che un pesce ha abboccato. In questo mulinare continuo del tempo, l’uomo si ritrova a fare i conti con l’irrazionale che è in lui, con gli argini di un’esistenza che stanno crollando e lui non ha strumenti per contrastarlo. Non è un eroe il protagonista di Sommersione (190 pagine, 16 euro) di Sandro Frizziero in libreria per Fazi.

Rimasto vedovo, con una figlia, “la Simonetta”, scappata a tempo debito dal padre, l’uomo vive in un’abitazione ormai fatiscente, abitata dalle mille bestemmie lanciate contro gli altri e contro se stesso, di fatto, per non essere stato in grado di vivere, senza rabbia e rancori. È un uomo che scatena nel lettore, in prima battuta, un senso di fastidio, dissenso e una distanza che ci vogliamo prendere. Poi però la storia di Sandro Frizziero scava e va ben oltre. Il protagonista è un uomo che nella sua vita ha fatto a meno delle buone maniere, ha archiviato ogni ipotesi di felicità, tanto da essere convinto che «la felicità è una compagna infingarda, sempre propensa all’inganno […] L’infelicità invece non rinnega e non respinge nessuno»; ha scansato l’amore, quindi se l’è preso con la forza. Il tempo che trascorre di fronte al mare a pescare, lui che aveva il peschereccio più bello di tutta l’isola, quello sul divano di casa e quello alla Taverna è un tempo che matura i sensi di colpa, che lo induce a cedere ai pensieri morbosi e deliranti, che gli ricorda ciò che è stato e ciò che non potrà più avere. Una solitudine accentuata dalla morte della moglie, “la Cinzia” contro la quale ha scagliato tutta la sua violenza, oltraggiando anche il suo ricordo: tutti in paese sono convinti che sia stato lui a farla morire: «ti considerano l’unico responsabile della sua malattia».

L’Isola è una ferita, tutto intorno quel mare destinato ad inghiottire quella porzione di terra che si ostina a galleggiare: «L’Isola intera è destinata a essere sommersa senza troppe cerimonie, come una vecchia stanca che muore senza disturbare figli e nipoti. E se questo non bastasse, pure la subsidenza la condanna allo sprofondamento, accelerato peraltro dalle piattaforme che al largo delle sue coste succhiano gas dal sottosuolo. Non c’è futuro sull’Isola che, a ben vedere, altro non è che una cicatrice del mare, un postaccio, insomma, dove non cresce nulla se non i platani piantati dal comune e le ostinatissime tamerici che ancora si aggrappano alla sabbia della spiaggia».

Sandro Frizziero vede in questa progressiva sommersione dell’isola, destinata a sparire, una nuova geografia umana che passa dalla cancellazione degli abitanti dell’isola alla fine delle loro sofferenze; ma vede anche la mano pesante dell’uomo che si affretta a mettere un freno alla sopravvivenza della specie e determina cambiamenti climatici impossibili da fermare: «Nel pomeriggio si raggiungeranno i trenta gradi dell’estate […] Si tratta soltanto di uno degli effetti più evidenti dei cambiamenti climatici che hanno reso l’Isola ancora più inospitale, segno incontrovertibile che la natura matrigna perseguita i suoi abitanti e li condanna, dalla nascita, a indicibili sofferenze». Non risparmia nessuno in questo suo romanzo: un antieroe al centro della scena, che intreccia il suo passato con quello degli abitanti dell’Isola, personaggi maledetti, che vivono nella precarietà esistenziale, abitano le profondità di un lembo di terra, al largo, e che si ostinano a resistere alla scomparsa. Il protagonista nel suo andare avanti e a ritroso, esattamente come il mare fa di fronte a lui, è prigioniero delle sue stesse azioni, come in un girone dantesco, in cui, per la legge del contrappasso, ogni giorno deve fare i conti con i ricordi, con il senso di colpa, con l’incapacità di fare la pace con i propri sbagli, pronto a darsi ragione contro ogni logica. Una scrittura chirurgica, stretta e cruda quella di Sandro Frizziero che ci ricorda, infine, come un’isola è sia un luogo che vive quasi con regole proprie, che una lenta deriva alla quale ancoriamo noi stessi, certi che da una distruzione dolorosa e inevitabile possa giungere una rinascita: ricostruire laddove la sommersione ha il peso di un destino già scritto, ma verso il quale è necessario andare controcorrente.

Recensione di Paola Zoppi

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Sandro Frizziero

È nato a Chioggia nel 1987 e insegna Lettere negli istituti superiori della sua città. Per Fazi Editore, nel 2018, ha pubblicato Confessioni di un NEET, finalista al Premio John Fante 2019.

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