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scheda di Marenco, F., L'Indice 1998, n. 7
Da noi colpevolmente mancata al suo apparire, questa traduzione del celebre canzoniere shakespeariano merita di essere segnalata, pur inadeguatamente, per come realizza la posta maggiore per un'impresa del genere, oggi: naturalizzare l'alto artificio della forma rinascimentale nel registro umile e antiretorico della poesia novecentesca. Di simili, sapienti risultati Elio Chinol era stato portatore nelle sue non numerose traduzioni - ma si ricordi quella di un altro capolavoro shakespeariano, il "Macbeth" del 1971 - ed è facile oggi distinguere la matrice in quel piacere dell'ibrido tonale e linguistico, e della risoluzione stringata, apodittica dei nodi compositivi, che era così evidente nella sua prosa creativa ("La vita perduta", 1972) e nella nutrita saggistica, e che a lui era stata insegnata dagli scrittori della grande stagione del modernismo angloamericano, da lui a lungo attivamente insegnati. L'inizio "Quale inverno è stata la mia lontananza / da te, sola gioia dell'anno fuggitivo!" è sì Shakespeare, ma è anche Montale, alle traduzioni del quale - tre sonetti soltanto - del resto Chinol si richiama per la splendida concisione (l'operazione più difficile nel trasporto dall'italiano all'inglese) oltre che per la continua tensione fra correttezza della lettura e libertà della resa, per la puntigliosa ricerca di un proprio ritmo, per il rispetto dell'"elemento strutturale più caratterizzante in un sonetto elisabettiano", il distico finale. Proprio qui, nella nervosa perentorietà delle chiusure, questa traduzione sa sollecitare la personalità drammaturgica attiva nell'originale, che ora dialettizza e sforbicia la melanconica aulicità petrarchesca - "Per te a me stesso guerra vorrò fare, / ché mai amerò chi tu possa odiare" - ora, con pieno gusto barocco, si ingorga in inferni tutti nuovi e materiali, e negli incagli linguistici che ne derivano - "Tu non sei nera in nulla se non nelle tue azioni: / è di là che nascono così calunniose insinuazioni": due diverse cadenze di conflitto, ottenute senza rinunciare né in un caso né nell'altro alla naturalezza, e anzi mantenendo quest'ultima sempre nel mirino della prosodia, attraverso la compressione e il prosciugamento - e si veda ancora "Pur non lo sdegno: ben può un terrestre /sole oscurarsi, se fa così il celeste", che al predecessore Montale rivolge un omaggio diretto.Le questioni relative all'interpretazione generale della raccolta e i principi basilari della traduzione sono discussi nei saggi di apertura e di chiusura, anch'essi esemplarmente concisi, secondo quella regola di scettica concretezza, per non dire di rifiuto di ogni fumoseria, che Elio Chinol aveva coltivato come propria cifra intellettuale.
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