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Spettacolo puro! i disegni e il racconto di Davide ti lasciano grandi emozioni.
Un volume che non può mancare negli scaffali per gli amanti del graphic . Una storia che si costruisce per frammenti, ma che acquista unitarietà nel sentimento di pietas del suo autore. È proprio attraverso questa profonda e umana partecipazione che Reviati riconosce a ciascuno dei suoi personaggi, perlopiù dei perdenti o degli emarginati, quella dignità di cui la storia e gli altri erano stati avari.
Recensioni
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L'aggettivo di rito per un volume di oltre 500 pagine e dalla gestazione complessa (circa sei anni di lavoro e ricerche), suppongo sia “epico”. Tanto più se le vicende narrate s'intersecano con una delle tragedie del Novecento, insomma con quella che altri chiamerebbero “grande storia”, per quanto di storia silenziata si tratti. E però non lo so, se sia l'aggettivo giusto per Sputa tre volte. Troppo privato lo sguardo dell'autore, troppo dilatato il ritmo per tirare in ballo i cliché (sia buoni che deleteri) dell'opera-mondo – e non lo intendo come critica, anzi. E poi c'è la lingua di queste pagine, specie dal punto di vista grafico: il ricorso allo schizzo, le chine dai contorni incerti, i margini sfrangiati, i bianchi che riempiono gli spazi, sfumano il racconto e lo schiudono a un'indeterminatezza che lascia intendere soluzioni aperte e volutamente imprecise. Ma ricominciamo da capo e torniamo alla domanda: cos'è il nuovo, mastodontico lavoro di Davide Reviati?
Sulle prime, Sputa tre volte apparterrebbe di diritto a un'altra categoria forse abusata: il romanzo di formazione. È la storia del giovane Guido, che in una Romagna quintessenzialmente periferica butta via le sue giornate insieme a un gruppo di amici tra gran cannoni, noia, cameratismo, cazzeggi e sbornie, affrontando nel contempo i riti grandi e piccoli del passaggio all'età adulta. Ora: il memoir privato, la vita di provincia, i ritratti del grande nulla a cui viene immolata l'età adolescenziale, sono sempiterne costanti del fumetto indipendente, specie se italiano. Solo che in Sputa tre volte, a intervenire sono almeno altri due piani che lo fanno slittare in una landa ambigua e irriducibile a semplificazioni di sorta. Il primo, in realtà classico anch'esso, è l'elemento onirico che confonde la linearità intimista della narrazione e che si traduce in intrusioni surreali come il cowboy John Wayne che ciclicamente interviene nell'immaginazione del protagonista; il secondo è l'ingrediente per cui Sputa tre volte più verrà ricordato: la presenza aliena, diversa e per questo intraducibile degli Stan?i?, la famiglia di zingari che vivono accampati ai margini del paese. Sono loro a informare il fumetto di una tensione inquieta e dolorosa, ad alterarne le prospettive, ad allargarne il respiro fino a precipitare l'opera del fumettista ravennate in un continuo rimbalzo tra il qui e l'altrove: che è un altrove umano, culturale, urbano, ma anche storico in senso stretto.
In Sputa tre volte, le pagine più devastanti sono quelle in cui Reviati ripercorre le tappe del porrajmos (“divoramento”) che portò allo sterminio di 500.000 tra sinti e rom. Questo genocidio dimenticato, volutamente rimosso e rimasto impunito, è lo spettro che aleggia anche sul rapporto tra “gli zingari” e la provincia semirurale in cui si ambienta il libro. È un rapporto che, nonostante la già citata “indeterminatezza” del tratto, viene dipinto da Reviati in maniera quasi clinica: la generica tolleranza che gli abitanti del posto riservano a questi strani individui venuti dalla Slovenia a bordo di un carretto, non basta a celare il consueto apparato di diffidenza, sospetti, pregiudizi e meschinità. Anche per Guido e i suoi amici, gli Stan?i? rappresentano di volta in volta un oggetto di scherno, una curiosità incomprensibile, forse persino una minaccia, e in questo senso la figura più rappresentativa è senza dubbio la giovane Loretta: la “bambina vecchia”, “la stupida”, “la strega”, sulla quale circolano voci di incesto e nei confronti della quale Guido e compagni adottano un atteggiamento a metà tra accondiscendenza, derisione e rigetto bello e buono. Anche perché Loretta è una che “ti caga in casa”, che “ti mena senza motivo”, e per tutto il corso del volume si avverte la sensazione che tutto stia per precipitare, se non altro perché ben conosciamo gli esiti a cui ci ha abituato la cronaca. Che questa cronaca possa essere il preludio di altro, diventa a questo punto più di un sospetto.
Servirebbero molte più righe per restituire la dimensione di Sputa tre volte. Ma lo spazio è poco e quindi mi limito a segnalare l'appendice in cui Reviati racconta la storia della poetessa rom Papusza, aggiungendo un ulteriore livello a quello che, tra le mille cose, è anche l'omaggio a un popolo nei confronti del quale razzismo, disprezzo e disinibita discriminazione, vengono tuttora rivendicati finanche per via “istituzionale”. E non solo perché viviamo in tempi di ruspe e Salvini a dosi quotidiane.
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