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Anno edizione: 2021
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A cent'anni dalla scissione di Livorno del gennaio 1921, questo libro rilegge protagonisti e momenti principali della storia del comunismo italiano in un'ottica internazionale, fino alla sua conclusione dopo la caduta del Muro di Berlino nel novembre 1989.
I comunisti italiani si rappresentarono sempre come una forza nazionale e internazionale, seppure declinando i due termini in modi assai diversi tra loro nel corso del tempo. Silvio Pons ricostruisce le loro visioni, i legami e le strategie come un particolare caso di studio del comunismo globale. Tramite l'intera parabola del Pci, è possibile vedere i nessi e le interazioni molteplici tra la storia italiana e questioni cruciali del Novecento quali l'impatto della rivoluzione bolscevica nel 1917, le esperienze dell'antifascismo e dello stalinismo, la guerra fredda e la divisione dell'Europa, la decolonizzazione e la nascita del mondo postcoloniale, il «Sessantotto globale», il ruolo della Comunità Europea, la fine del comunismo in Europa. Silvio Pons rilegge visioni, legami, protagonisti e momenti principali nella storia del comunismo italiano come un particolare caso di studio del comunismo globale. La cultura politica espressa da gruppi dirigenti a forte vocazione intellettuale e da personalità come Gramsci, Togliatti, Berlinguer viene analizzata nelle visioni dell'ordine europeo e mondiale, nella costruzione di senso dei nessi tra identità nazionali e appartenenze internazionali, nell'approccio ai temi della pace e della guerra. L'internazionalismo fu una genealogia rivoluzionaria, un fondamento simbolico, un complesso di pratiche e una cultura condivisa. I comunisti italiani si ritagliarono un posto specifico nel progetto globale nato nel 1917, dando vita al principale partito comunista in Occidente e proponendosi come coscienza critica di una «comunità immaginata» su scala mondiale. Piú di ogni altra cultura politica italiana, si legarono a influenze e connessioni transnazionali, con il risultato controverso di contribuire alla frattura della comunità nazionale nella guerra fredda e di esercitare un'opera di mediazione oltre i confini e le rappresentazioni dell'ordine bipolare. Il loro internazionalismo si trasformò nel corso del tempo, sebbene senza mai recidere del tutto il legame esistenziale con la matrice originaria, fino a confluire nella visione dell'Europa come soggetto della politica mondiale. Un'eredità che ha senso rivisitare oggi, in un tempo che registra il declino degli internazionalismi del secolo scorso mentre il mondo transnazionale stenta a emergere.
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L’Autore dipinge il quadro delle relazioni fra i comunisti italiani e il resto del campo comunista – e più in generale progressista – analizzandole a partire dalla nascita del PCd’I, e poi con l’allargamento della visuale della svolta togliattiana e la successiva elaborazione e lo strappo di Berlinguer con l’approdo al paradigma europeista. In particolare risaltano i rapporti con l’Urss, che inizialmente si svilupparono attraverso una dinamica di sudditanza per proseguire poi verso il policentrismo e la progressiva autonomia da Mosca procedendo lungo la tela man mano intessuta con “gli altri” – i Paesi in via di decolonizzazione, i partiti comunisti del Terzo Mondo, le forze europee di progresso e, in patria, i settori più avanzati del mondo cattolico. Lo scenario delinea l’originalità del Partito Comunista Italiano che, a differenza di tante altre forze dello stesso campo nel panorama mondiale, decise di autoaffondarsi senza avere mostrato la capacità di valorizzare il proprio patrimonio ideale e di marcare la propria differenza da molte altre esperienze settarie e rovinose. Il limite della trattazione di Pons sta nell’equazione comunisti italiani=PCI. Il che è in gran parte vero, soprattutto in termini di peso e di influenza culturale; ma così si tralasciano quegli elementi di novità (a proposito delle “visioni” del sottotitolo) che dal 1971 hanno rappresentato fra gli altri i comunisti del Manifesto, richiamati solo di sfuggita.
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