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Già autore di una biografia di Ermanno Amicucci, il maggiore teorico e organizzatore del giornalismo italiano nel periodo fra le due guerre, Forno ritorna sul problema del rapporto tra fascismo e informazione, ampliando lo sguardo storiografico al fine di valutare l'effettiva efficienza del sistema giornalistico dal punto di vista delle aspirazioni del regime. L'azione di gestione e di organizzazione della stampa italiana attuata dal fascismo percorse, secondo l'autore, "un cammino ondivago e ben poco coerente". Nel primo triennio di potere Mussolini fece affidamento principalmente sulle azioni di intimidazione, sulla censura e sui rimaneggiamenti di proprietà. Successivamente, procedette all'approvazione di una legislazione finalizzata soprattutto a dimostrare una buona disposizione del fascismo verso i giornalisti, delegando al Sindacato nazionale fascista dei giornalisti (Snfg) il compito di delineare un possibile modello di stampa schiettamente fascista. Contraddittoria fu, tuttavia, l'opera di rinnovamento promossa dal Snfg nel primo decennio di potere mussoliniano: conquiste come l'albo dei giornalisti, il contratto di lavoro "corporativo", l'Istituto di previdenza, l'Ufficio nazionale di collocamento si dimostreranno, infatti, funzionali a un processo di assoggettamento, più che di valorizzazione, dei giornalisti fascisti, e non riusciranno a intaccare le posizioni di potere godute dai gruppi che dominavano il settore editoriale.
L'inizio degli anni Trenta segna, sotto molti aspetti, una svolta. Se, infatti, nel suo primo decennio di potere Mussolini aveva stravolto, ma non annientato, la vecchia macchina giornalistica, privilegiando un'azione di controllo fondata sulla forza e sulla favorevole disposizione dei giornalisti inquadrati nel sindacato e di molti industriali-editori interessati a entrare nelle grazie del regime, nel secondo decennio si avvia una più aggressiva fase di pianificazione "a priori" e di centralizzazione dell'informazione, in cui è evidente la tendenza a imitare il modello tedesco. Tuttavia, anche questa decisa sterzata impressa da Mussolini non produrrà risultati soddisfacenti, soprattutto sotto il profilo dell'efficienza dell'apparato: si pensi, ad esempio, alla permanenza di una folta stampa cattolica, relativamente autonoma, a cui Forno dedica uno dei capitoli più interessanti. La conclusione dell'autore è chiara e convincente: "Accanto agli indiscutibili 'successi' conseguiti dal fascismo sul piano propagandistico, non trascurabili distanze separeranno sempre le aspirazioni totalizzanti della sua stampa dai risultati concretamente conseguiti". Alla luce di tali risultati, la categoria di "totalitarismo", che si ritrova nel sottotitolo e, a tratti, fra le pagine del libro, non può non rivelarsi piuttosto ambigua nella sua generica accezione di "orientamento" o di "atteggiamento", producendo qualche stonatura con l'impostazione complessiva della ricerca e con la ricca documentazione rinvenuta dall'autore. Come quando, ad esempio, nel 1927, il direttore del "Corriere della Sera" Ugo Ojetti scrive al futuro capo ufficio stampa di Mussolini, Lando Ferretti, a proposito del contenuto di un suo articolo: "Veda di evitare dei neologismi, come la parola totalitario, che in Italia sono ignoti".
Francesco Cassata
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