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Anno edizione: 2013
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La prosa di Chiara è scorrevole, limpida, ti trasporta letteralmente sul Lago Maggiore, pare quasi di avvertire la freschezza e la quiete di quei luoghi. “La stanza del vescovo” si legge tutto d’un fiato, trama apparentemente semplice ma con personaggi sfuggenti, sembra non vogliano rivelarci troppo di sé stessi, quasi come se il periodo bellico ed il confuso e incerto dopoguerra – le vicende si svolgono nel ’46-’47 - li avessero resi diffidenti, disillusi. Fa parzialmente eccezione il protagonista, probabilmente alter ego di Chiara, che attraversa inquietamente il lago sulla sua barca a vela, approdando di tanto in tanto negli ameni borghi che vi si specchiano, in perenne ricerca di avventure sentimentali senza coinvolgimenti eccessivi, lasciando però trasparire tracce di residuale fiducia nel prossimo, capacità d’adattamento agli eventi e un certo essenziale ottimismo di fondo. Opera leggera e malinconica allo stesso tempo, con a mio parere lo strepitoso Temistocle Orimbelli a far da mattatore nel bene e nel male (e che il grande Tognazzi interpreterà splendidamente nel film tratto dal romanzo nel 1977, regia di Dino Risi)
Storiella molto ben sctitta ma non particolarmente originale.
E ancora Piero Chiara, ancora i suoi personaggi limpidi, tragici e spassosi allo stesso tempo; ancora la sua ironia delicatissima, intelligente. Io, le atmosfere di Chiara le adoro, mi ricordano Fruttero e Lucentini, mi riportano a quelle belle sensazioni lì. E poi c'è sempre quel gusto per la carnalità, discreta, mai volgare, mai morbosa. È sempre una lettura piacevolissima per me, leggera, divertente ma incisiva; una commedia all'italiana sì, ma DOC.
Recensioni
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