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Anno edizione: 2022
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Matteo Righetto conosce profondamente il mondo arcaico della montagna – durissimo e al contempo vivo di profumi, sapori, dialetto e leggende – e ce lo restituisce nel suo romanzo più maturo e incalzante. Leggerlo è una corsa notturna nel bosco, con il cuore in gola.
I segreti tornano sempre a galla attraverso le leggende.
È l'estate del 1954, Giacomo Nef ha undici anni e con i due fratelli maggiori vive dai nonni paterni a Daghè, sulle pendici del Col di Lana, nelle Dolomiti bellunesi. "Tre case, tre fienili, tre famiglie." I bambini sono orfani e l'anziano capofamiglia li tratta con durezza e severità, soprattutto il più piccolo. Il nonno è convinto infatti che Giacomo sia nato da una relazione della nuora in tempo di guerra e lo punisce a ogni occasione, chiudendolo a chiave nella stanza delle mele selvatiche. Lì il ragazzino passa il tempo intagliando il legno e sognando l'avventura, le imprese degli scalatori celebri o degli eroi dei fumetti, e l'avventura gli corre incontro una tarda sera d'agosto. Con l'approssimarsi di un terribile temporale, Giacomo viene mandato dal nonno nel Bosch Negher a recuperare una roncola dimenticata al mattino. Mentre i tuoni sembrano voler squarciare il cielo, alla luce di un lampo scopre vicino all'attrezzo il corpo di un uomo appeso a un albero. L'impiccato è di spalle e lui, terrorizzato, fugge via. Per tutta la vita Giacomo cercherà di sciogliere un mistero che sembra legato a doppio filo con la vita del paese, con i suoi riti ancestrali intrisi di elementi magici e credenze popolari. Matteo Righetto conosce profondamente il mondo arcaico della montagna – durissimo e al contempo vivo di profumi, sapori, dialetto e leggende – e ce lo restituisce nel suo romanzo più maturo e incalzante. Leggerlo è una corsa notturna nel bosco, con il cuore in gola.
Il libro potrebbe essere bello - soprattutto la prima parte (la seconda mi sembra forzata) - se non avesse alcuni "inciampi" che levano un po' il piacere della lettura, ad esempio, fornire al lettore la spiegazione di un termine dialettale (sarebbe stato meglio darne conto, se proprio necessario, in una paginetta iniziale o finale), oppure usare una lingua colloquiale (es: "si tirò su dal letto", anziché "si alzò/si levò dal letto"; "non mollava" anziché "non desisteva") o, ancora, appesantire con inutili dettagli (es: "Lei cominciò la discesa mantenendo la second marcia"). Ho poi una perplessità: nel 1954 i bambini di quelle montagne non andavano a scuola oltre la quinta elementare; poi andavano a lavorare. Peccato...
Strano libro La stanza delle mele, strano perché secondo me passa da una condizione di atmosfera magica, quasi surreale, a una contemporaneità marcata, che ha squarciato quel velo di mistero e di fiabesco che così bene era stato realizzato. La vita di questa famigliola, due nonni e i tre nipoti orfani, in particolare di uno, Giacomo, ha un profumo di antico, di tradizioni, di coesistenza con la natura rara a incontrarsi. E poi c’è la passione del ragazzino per l’arte di scolpire il legno, diffusa sulle Dolomiti, ma che per lui rappresenta anche l’evasione dalla dura realtà di ogni giorno, che lo vede spesso punito, non di rado con bastonature, dal nonno che non gli vuol bene, supponendolo frutto di una relazione extraconiugale. A ciò si aggiunga il mondo di una piccola comunità montana, con le leggende, con la religiosità sempre bigotta e il misticismo riscontrabile nel paesaggio, tutti elementi assai pregevoli e ben resi, al punto che avrei preferito che il romanzo finisse con la morte della nonna, e non ci fosse una seconda parte proiettata in un tempo attuale, così lontano da quello della prima, dove tutto era apparentemente fermo con l’immutabilità dei sentimenti, dei rapporti familiari, nella dura fatica di ogni giorno. Secondo me il mistero dell’uomo trovato impiccato da Giacomo nella notte del temporale sarebbe dovuto rimanere tale, nell’incertezza che fosse esistito veramente e non fosse stato invece creduto come il parto della fantasia di un ragazzino, inviato dal nonno nel bosco a riprendere la roncola che il vecchio aveva dimenticato. Con la seconda parte l’alone di magia così ben realizzato si è sciolto come neve al sole, dando luogo a sviluppi della vicenda tutto sommato scontati. Beninteso non è che il romanzo sia da buttare, perché si lascia anche piacevolmente leggere, ma dispiace vedere gettato alle ortiche il piccolo capolavoro della prima parte.
Il miglior romanzo letto nell'ultimo anno. Forse sono di parte, vivendo nei luoghi narrati, ma Righetto sa raccontare alla perfezione la storia, le dinamiche ed i valori della montagna. Un libro forte, emozionale, con un mistero interiore svelato solo alla fine. Da leggere assolutamente.
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