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Ha uno stile rapsodico questo romanzo di Roberto Pazzi, che in pochissime righe iniziali schiera davanti a noi alcuni personaggi storici rimasti nella memoria sin dai nostri primissimi studi: Cesare, Cleopatra, il loro “supposto” figlio Cesarione, che da piccolo era convinto della sua immortalità: “È vero che io non morirò?”, Antonio, Pompeo, Vercingetorige, il condottiero gallo sconfitto e condotto a Roma, Calpurnia, la seconda moglie di Cesare, sterile, ammaliata dal carattere indomito del barbaro prigioniero, “l’unico pari, nella sventura, alla grandezza di Cesare”, il quale Vercingetorige attende di essere messo a morte, poiché “i vinti del rango del prigioniero, dopo un trionfo, non dovevano sopravvivere ai loro regni perduti.” Siamo nell’anno 46 avanti Cristo allorché incontriamo queste prime figure, poi l’autore ci costringe ad un balzo in avanti di sedici anni, verso il 30 avanti Cristo, quando parecchi di quei personaggi se ne sono già andati, e seguiamo così il viaggio di Cesarione che, imbarcato su di una nave che percorre il Nilo, lascia di nascosto e in tutta fretta Alessandria d’Egitto per sfuggire a Ottaviano. La memoria ha una parte importante nel dare tonalità e ritmo a questo stile rapsodico con il quale, intuiamo, dovremo prendere confidenza al più presto, al fine di raccogliere ed interpretare i molti significati che vi si racchiudono. Cesarione è ricercato poiché potrebbe ostacolare l’ascesa di Ottaviano, pronipote di Cesare, e perciò: “non era padrone della sua vita, l’aveva capito molto presto.” Chiunque, infatti, avesse voluto comandare quel già vasto mondo conosciuto, sapeva di dover prima d’ogni altra cosa, per spianarsi la strada ad un potere assoluto, fare i conti con l’erede di Cesare e di Cleopatra: “tu sei l’unico ostacolo fra lui e il potere assoluto.” Ma più che della fuga di Cesarione da un nemico in carne ed ossa che gli dà la caccia, sarà il racconto della fuga dal proprio nome, attraverso la scomparsa nel nulla, che in questo caso equivale all’anelito e alla ricerca di una n
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