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recensioni di Carchia, G. L'Indice del 2000, n. 01
La pubblicazione in lingua italiana, per la prima volta, dopo la traduzione apparsa a Firenze nel 1738 di Marcello Adriani (risalente però al sec. XVI), del Peri hermeneias di Demetrio, è da salutare come un evento di grande importanza nel campo degli studi classici e dell'estetica. Il merito dell'impresa è di Giovanni Lombardo - già benemerito di questa tradizione di studi per la sua edizione del Sublime pseudolonginiano apparsa nel 1987 sempre da Aesthetica -, che, oltre a tradurre il testo, lo ha corredato di una sintetica introduzione, di un imponente apparato di note, e di otto appendici biobibliografiche.
Ignoto oggi, fuori dalla ristretta cerchia degli specialisti, al grande pubblico dei lettori, il Peri hermeneias godette invece di una grande fortuna, a partire dall'editio princeps, pubblicata da Aldo Manuzio a Venezia nel 1509, grazie anche all'ampio commento fornito nel 1562 da Pietro Vettori. Citato dai maggiori trattati di poetica e retorica del Cinquecento, Demetrio è apprezzato in particolare da monsignor Giovanni Della Casa e da Torquato Tasso. A partire dal 1554, anno in cui Francesco Robortello pubblica a Basilea l'editio princeps del Peri hypsous pseudolonginiano, incomincia fra i due trattati una concorrenza che vedrà, alla fine, lo schiacciante trionfo dello pseudo-Longino, più facile da accogliere e da assimilare dal mutato paradigma dell'estetica moderna. Ad eccezione di talune riprese da parte dei teorici dell'acutezza barocca (Matteo Peregrini) e dei fautori dello stile spezzato (Agostino Mascardi), la fortuna di Demetrio si viene riducendo all'occasionalità di qualche citazione da parte di John Milton, in Inghilterra, e di Dominique Bouhours e di Nicolas Boileau, in Francia. La recezione ottocentesca del trattato e, più ancora, quella novecentesca, sono ormai confinate alla cerchia dei puri eruditi e dei filologi (tra i quali spicca Leopardi), senza però attenzione per una possibile attualità della materia trattata. Tutto ciò si deve, ovviamente, al declino della retorica promosso dall'ascesa del movimento estetico Romantico e idealistico.
Solo oggi, dunque, il cambiamento di scena introdottosi a partire dagli anni sessanta, grazie agli indirizzi di pensiero che hanno portato a una rivalutazione della retorica (strutturalismo, ermeneutica, fenomenologia, ecc.), ha aperto definitivamente la strada a una rivalutazione del trattato di Demetrio. L'opera più importante, in questo senso, è rappresentata dall'affascinante monografia, apparsa nel 1980 presso le Edizioni dell'Ateneo, Demetrio: dello stile, di Guido Morpurgo-Tagliabue, l'insigne studioso di estetica, recentemente scomparso, animato - sono parole sue - da un'"innocente fissazione: di voler fare dell'antico e desueto Demetrio un moderno best-seller". Se anche, come è probabile, non si arriverà a tanto, la nuova edizione curata da Giovanni Lombardo sicuramente darà un impulso a una riconsiderazione sempre più attenta delle diverse teorie tardo-antiche dell'elocutio.
Sul piano filologico, la traduzione, sciolta ma fedele all'originale, adotta il testo recentemente stabilito da Pierre Chirron (Paris, 1993). Lombardo non prende posizione esplicita circa il problema della datazione del Peri hermeneias, limitandosi a dibattere i pro e i contro delle attribuzioni sostenute, agli antipodi, da Grube (che propende per una datazione antica, intorno al 270 a.C.) e da Schenkeveld (fautore invece di una datazione più recente, che situa Demetrio intorno al I sec. d.C.).
Quanto all'interpretazione del Peri hermeneias, Lombardo approfondisce i caratteri più originali dell'impostazione di Demetrio che, unico fra i retori della tarda antichità, ci ha lasciato uno schema dei genera dicendi non già tripartito (stile grandioso, stile medio, stile semplice), bensì quadripartito, comprendente cioè lo stile grandioso, lo stile elegante, lo stile semplice e lo stile potente. Nella sua introduzione, Lombardo sottolinea la novità dell'impostazione di Demetrio, quanto allo stile elegante e a quello potente, che contraddistinguono propriamente il suo apporto alla retorica tardo-antica: "Per lui [Demetrio] potenza ed eleganza sono charakteres a pieno titolo, costituibili rendendo autonome e investendo di ulteriori funzioni espressive la componente patetica dello stile grande e la componente piacevole dello stile semplice". È tipico di Demetrio avere opposto all'idea di uno stile medio, in quanto compromesso fra la semplicità e la grandezza, la nozione di una pluralità di stili misti che collaborano con i quattro caratteri di base. Quanto allo stile elegante (glaphurotes), va sottolineata la presenza, accanto a una teoria dello stile epistolare come imago animi, di una singolare teoria della grazia (charis), nella quale il valore del termine viene forzato fino a significare un'arguzia grossolana e contraria addirittura alla finezza. Ciò dà luogo a una singolare teoria del comico spaventevole, che rammenta il sorriso della Gorgone.
Lombardo insiste così sugli aspetti anti-classici della teoria di Demetrio e soprattutto sugli accenti premoderni di una
nozione come quella di deinotes (stile potente). Nella dimensione anch'essa "gorgonica" della deinotes, "possono infatti convergere sia gli aspetti spaventosi e notturni del sublime burkiano, sia gli aspetti numinosi e inquietanti del subli-
me mitico-magico; di quel sublime che, nascendo dall'esperienza del sacro come mysterium tremendum, ci riporta all'identità tra il deinon e il phoberon". Letto in questa chiave, Demetrio conferma così il carattere apotropaico e catartico riconosciuto all'arte dall'estetica antica.
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