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Fatti descritti molto bene!
Saggio che tratta dal punto di vista socio-culturale più che politico-economico la storia degli anni Ottanta. Poiché gli archivi del decennio si stanno per aprire, molti nuovi approfondimenti si potranno sviluppare, confermando o smentendo tesi, scoprendo nuovi elementi e documenti. Per chi è nato in quegli anni, poi, costituisce un buon punto di partenza per capire da dove è "partito" o per ricordare quello che non ha vissuto pienamente.
La lettura è gradevole, per carità, a parte la nutrita pattuglia d'irritanti refusi. Ma anche un articolo su un rotocalco dal barbiere può essere gradevole. La storia dev'essere altro dal puro intrattenimento. E questo non è un libro sulla storia d'Italia tout court: piuttosto una storia del costume italiano o dell'opinione pubblica italiana o, al massimo della società italiana, il cui assioma portante consiste nel sostenere che gli anni Ottanta sono stati la tv degli anni Ottanta, come se fossimo stati governati dalla televisione, per dirla con una celebre nota profetica di Flaiano. La tv, semmai, ci ha governato dopo. Sembra più un almanacco, un blob, che un'analisi storica, un memoir sotterraneamente nostalgico di un'aitante epoca di sacro individualismo egotista, neppure troppo copertamente rimpianto: quello del laisser faire, laisser passer made in Italy, che ci ha portato nelle secche amorali in cui siamo. Ma la storia non deve leggersi con la morale (p. 11), dice l'autore, lo dicono i grandi classici, sostiene lui: mi sa, allora, che Pirenne o De Felice non sono classici. Non una parola sulla P2, sul maxi processo di Palermo, nessuna analisi della corruzione dilagante, del debito pubblico (liquidato in tre righe circa), appena un accenno sulla definitiva e finale deriva sanguinaria del terrorismo, sull'operato del pentapartito, giusto qualche statistica, in mezzo ad un mare di amarcord catodici. Ad aggravare il quadro, si aggiunge una poco sopportabile esaltazione, appena velata da una raffigurazione da oggettività postmoderna, delle fantasmagorie dei congressi del ruggente Psi di Ghino di Tacco. Una cronaca in cui ci sono ben tre pagine dedicate a Maradona, dove i Vanzina sono "fondamentali" (p. 74) e sono avventatamente paragonati a Monicelli e Risi (p. 12) per perspicuità di sguardo.
Recensioni
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Gli anni ottanta sono stati anni di svolta, con una identità marcata e riconoscibile in tutto l'Occidente. In Italia sono stati qualcosa di più, perché costituiscono il presente interminabile, sul piano culturale e psicologico, di una larga parte di italiani, che hanno fatto del mantenimento di status e mentalità acquisiti in quel decennio una trincea da difendere a tutti i costi, a dispetto di ogni evidenza suggerita dalla realtà di un declino inarrestabile.
Sul piano storico, Marco Gervasoni presenta ora una ricostruzione vivace e leggibile, dove vengono passati in rassegna gli aspetti caratterizzanti di quel decennio italiano, con un atteggiamento che fin dalle pagine iniziali vuole contrapporsi alla condanna sommaria degli "apocalittici": termine derivato, come è noto, dagli anni sessanta, dove si riprodurrebbe anche per gli anni ottanta quella stessa incapacità di comprendere senza pregiudizi il nuovo che andava producendosi in maniera tumultuosa nell'Italia del boom economico. Con la differenza non trascurabile, però, che negli anni sessanta i critici riconoscevano l'enorme progresso che il paese stava vivendo e si interrogavano sulla sua direzione, mentre per gli anni ottanta la critica investiva proprio il carattere regressivo dello spirito del tempo, tanto sul piano sociale quanto su quello culturale.
La ricostruzione è vivace e intrisa di nostalgia, e investe tanto gli aspetti macro quanto quelli micro: enorme espansione dei consumi, nuovi stili di vita, lavoro che cambia, vittorie sportive e primati economici, e ovviamente Timberland, McDonald's, paninari, jogging, ginnastica aerobica e body building. Sarti che diventano "stilisti" e pionieri nel mondo del made in Italy, Giorgio Armani su tutti. Un decennio che vede alla ribalta una nuova specie di "decisori", e vengono passati in rassegna Rambo, Reagan, Romiti, Bettino Craxi e Vincenzo Muccioli. E che impone una personalizzazione della politica da cui sarà impossibile tornare indietro (e il capostipite viene individuato in Sandro Pertini).
C'è qualche caduta di stile che poteva essere evitata: le parole d'ordine dei sindacalisti che assomigliavano troppo a quelle che armavano i terroristi, dove si ignora il contributo, anche di sangue, dato dal sindacato nella battaglia contro il terrorismo. C'è qualche ingenuità di troppo: il decreto d'urgenza con il quale Bettino Craxi assegnava a Berlusconi nel 1984 il monopolio della televisione privata viene giustificato con la disperazione delle mamme che non avevano più i cartoni animati mattutini da offrire ai pargoli, motivazione ufficiale alla quale, per la verità, pochi dettero credito già allora. Proprio la questione televisiva, e il suo rapporto con la politica, è uno dei banchi di prova inevitabili nel ripensare gli anni ottanta italiani. Che la tv di Berlusconi avesse "pacificato l'Italia, rendendola più ricca, meno divisa e conflittuale", che avesse spinto la tv di stato a modernizzarsi (accadde esattamente il contrario), sono esempi di un decennio riguardato con gli occhiali rosa.
Interprete principale della modernità italiana è ovviamente Bettino Craxi, da ogni punto di vista figura centrale del decennio. Gervasoni nega, e con ragione, la linea di continuità assoluta che da Craxi condurrebbe a Berlusconi, cosa affermata da molti. Difende l'esperienza socialista da troppe semplificazioni polemiche (non c'era una prevalenza di "nani e ballerine"), ma introduce come un semplice elemento di curiosità quello che dovrebbe essere un interrogativo di fondo: perché in Italia, a differenza che negli altri paesi dell'Occidente, a farsi interprete dello spirito del tempo non fu la destra, ma il più antico partito della sinistra italiana.
Quello della modernità, su cui poggia tutta la trama del libro, è in realtà concetto ambiguo e sdrucciolevole, perché tutte le epoche si sentono "moderne" rispetto a quelle che le hanno precedute, e il problema storico consiste nel valutare qualità e direzione di quella particolare modernità. Anche il tema della "rivoluzione individualista" andrebbe ripensato in ottica comparativa. Convergeva nel climax degli anni ottanta anche molto delle istanze di liberazione delle soggettività e di ricerca di una felicità individuale che era insito nei movimenti giovanili della generazione precedente. Ma la sua traduzione italiana sfocerà in un privatismo asociale di fatto regressivo rispetto al lento e difficile cammino della costruzione repubblicana.
Il libro si chiude con l'evocazione del clima di Italia 90, con le sue scenografie postmoderne e i suoi calciatori glamour. A questo punto si nota però, attraverso un'opportuna citazione di Simona Colarizi, che si era in realtà "sull'orlo dell'abisso", e senza la lucidità di cogliere il pericolo. Ma il lettore non è stato messo in grado di comprendere come la cavalcata trionfale del decennio abbia condotto infine al precipizio. E la consapevolezza dell'abisso finale avrebbe potuto ispirare una rilettura più problematica di quella marcia.
Gianpasquale Santomassimo
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