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Storia della Compagnia di Gesù - William V. Bangert - copertina
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Descrizione


Il grande affresco che Bangert ha saputo tracciare della vicenda storica legata alla Compagnia di Gesù è il risultato di un riuscito incontro tra una profonda erudizione e qualità narrative. Ripercorrendo il cammino della Compagnia a partire dalle sue origini fino agli anni Ottanta del 1900, attraverso una ricostruzione cronologica e tematica degli eventi che ne tratteggiano il carattere, l'autore ha messo a punto quello che fino ad oggi resta un testo fondamentale, forse il più completo per la conoscenza dell'ordine fondato da Ignazio di Loyola. Un consistente apparato di note, una bibliografia aggiornata, un elenco delle congregazioni generali e un indice dei principali nomi e argomenti ricorrenti nel volume, costituiscono un ulteriore arricchimento del testo originale.
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Dettagli

2009
1 gennaio 2009
624 p.
9788821168062

Voce della critica


recensione di Menozzi, D., L'Indice 1991, n. 9

L'immagine della Compagnia di Gesù sembra oggetto nella coscienza contemporanea di un singolare sdoppiamento. Da un lato i mass media la indicano tra i convinti fautori del cattolicesimo "progressista": basterà ricordare il modo in cui la stampa ha presentato i richiami prima di Paolo VI e poi di Giovanni Paolo II al superiore generale, padre Arrupe, per frenare l'impegno dell'ordine nella liberazione dei popoli oppressi; e, più recentemente, il rilievo con cui numerosi giornali - in aperto contrasto con le cautele, almeno a livello pubblico, della Santa Sede - hanno riferito la notizia dell'assassinio, avvenuto quanto meno con la complicità del governo "cristiano" di destra, dei gesuiti che gestivano l'università di San Salvador, senza dimenticare l'indubbio potere suggestivo di film come "Mission*, che attribuisce la soppressione violenta delle "riduzioni" gesuitiche nel Paraguay a potenze coloniali del tutto indifferenti all'opera di promozione umana degli indios che vi si realizzava.
Ma dall'altro lato permane la memoria storica della vasta letteratura che da secoli è venuta costruendo sull'ordine una vera e propria "leggenda nera". Per ricordarne solo qualche tappa: si comincia con i "Monita secreta", in cui un ex gesuita denunciava nel 1614 le direttive nascoste che guidavano la Compagnia ad inganni e nefandezze; si prosegue attraverso le opere settecentesche che hanno preceduto la soppressione dell'ordine decisa da Clemente XIV (1773) - dalla portoghese "Deduzione cronologica", poi tradotta in diverse lingue, dove si afferma che un regno prima prospero è rapidamente decaduto con l'arrivo dei gesuiti giacché essi sono dietro ad ogni disastro nazionale, all'"Extrait des assertions dangereuses et pernicieuses en tout genre que les soi-disants jésuites ont dans tous les temp et perséveramment soutenues" inviato dal parlamento di Parigi a Luigi XV -; per finire con il Gesuita moderno in cui Gioberti non si limita ad indicare nella Compagnia il principale ostacolo al Risorgimento nazionale, ma la presenta come la fondamentale pietra d'inciampo all'incontro tra cattolicesimo e civiltà moderna, secondo uno schema che, declinato in vario modo, è arrivato fino ai nostri giorni.
Uscire da queste contrastanti valutazioni sulla base di una seria letteratura storico-critica era finora, per il lettore italiano, assai difficile. Il classico lavoro di Tacchi Venturi (comunque non privo di difetti) si limitava all'Italia e al solo periodo ignaziano; mentre il manuale generale di E. Rosa, uscito nel 1914, nonostante due aggiornamenti nel 1930 e nel 1957, si muoveva in un'ottica apertamente apologetica. Opportuna appare dunque l'iniziativa di tradurre - nel quattrocentocinquantesimo anniversario dell'approvazione della Compagnia, avvenuta nel 1550 ad opera di Giulio III - una storia complessiva dell'ordine, frutto del lavoro che il padre W.V. Bangert (morto nel 1985) ha svolto presso la Fordham University di New York. Va subito detto che la traduzione non è sempre felice; ma a parte qualche raro punto il testo è reso in maniera comprensibile al lettore italiano.
Non è facile, come l'autore stesso ricorda, dar adeguatamente conto di "migliaia di uomini che, attraverso più di quattro secoli di storia insegnarono latino e greco al collegio Louis-le-Grand, approntarono tabelle astronomiche alla corte imperiale di Pechino, scesero lungo il fiume San Lorenzo nella nuova Francia, costruirono la chiesa barocca di San Michele a Monaco, insegnarono filosofia e teologia al collegio romano, morirono sulle forche a Tyburn in Inghilterra, adottarono le regole dei sannyasi in India, svilupparono comunità di amerindi in Paraguay, sacrificarono la vita al servizio degli appestati in Andalusia, insegnarono in grandi università di Boston e San Francisco" (p. 550). Nel libro si è risolta la difficoltà adottando un efficace schema espositivo, che si articola su due registri.
In primo luogo, la storia della Compagnia è presentata secondo un ordine cronologico, la cui periodizzazione, pur rispettando le sue vicende interne - in effetti ogni epoca si apre con l'inizio di un generalato - corrisponde grosso modo alle grandi cesure sociali e politiche dell'età moderna e contemporanea. Ai tre capitoli su Ignazio di Loyola, il primo sviluppo dell'ordine e la sua espansione fino all'inizio del Seicento, fanno seguito quelli relativi alla vita della Compagnia in epoche ben definite: l'assolutismo, la crisi della coscienza europea, il periodo delle rivoluzioni borghesi - che vede la sua soppressione e poi la restaurazione nel 1814 -, l'età contemporanea fino al 1914. Un sintetico capitolo conclusivo illustra la storia dell'ordine in relazione alla svolta indotta nella Chiesa dal concilio Vaticano II. All'interno di questi capitoli, i paragrafi illustrano prima le linee di governo adottate dai superiori generali, quindi le vicende nelle varie aree geografiche in cui l'ordine operò: Italia, Francia, Spagna e Portogallo, Germania ed Europa centrale, Polonia e Russia, India e Filippine, Estremo Oriente, Africa, America latina e settentrionale. Ogni capitolo termina con un utile paragrafo conclusivo in cui si riprendono e sottolineano gli aspetti più rilevanti del periodo preso in esame.
L'opera sottolinea particolarmente il contributo dei gesuiti allo sviluppo della cultura nei suoi vari aspetti: dall'impostazione dei processi educativi con la "Ratio studiorum", alla creazione di uno stile architettonico; dagli studi astronomici e matematici al lancio di una colossale impresa storico-erudita come gli "Acta sanctorum"; dall'impegno nella speculazione filosofica e teologica alla formazione di teatri nazionali. Non potendo qui ricordare tutti gli elementi tematici di un lavoro assai vario, conviene soffermarsi solo su alcune questioni generali.
L'autore, pur non esplicitando i criteri metodologici cui si ispira il suo lavoro, afferma che gli storici si sono in genere occupati degli aspetti esteriori della vita dei gesuiti, mentre egli vuole mettere in rilievo quella spiritualità che, assorbita attraverso gli "Esercizi" di Ignazio, costituisce la fonte cui ogni membro dell'ordine attinge le ragioni del suo operare (p. 62). Seguendo coerentemente questa linea, egli riesce a fornire, dall'interno, un ampio e suggestivo quadro della mentalità e delle attività nella Compagnia. Tuttavia tale ottica comporta la sottovalutazione di rilevanti elementi nel rapporto tra spiritualità e società. È, ad esempio, assai opportuno che l'autore mostri il ruolo dei gesuiti nel praticare e diffondere la devozione al Sacro Cuore di Gesù; non è invece condivisibile il silenzio sul significato politico che, dalla sua nascita fino ad oggi, ha assunto tale pratica di pietà.
In secondo luogo l'autore, che pure è un membro della Compagnia, si sforza di evitare la caduta nell'apologia. In effetti non nasconde il dibattito interno alla Compagnia; sottolinea anzi che posizioni minoritarie o sconfitte avrebbero consentito alla medesima un più efficace indirizzo: ricorda così il rifiuto dei gesuiti francesi del Seicento di seguire la teoria del Bellarmino sulla "potestas indirecta" del papa, secondo quella linea che è arrivata fino ai giorni nostri con la radicale critica del padre De Lubac ad una impostazione che finiva comunque per legittimare la teocrazia; e il tentativo dei gesuiti nordamericani dell'Ottocento di far accettare alla Chiesa quella libertà religiosa che ha trovato sanzione, col contributo del padre Courtney Murray, solo nel decreto "Dignitatis hamanae" al Vaticano II.
Inoltre non nasconde limiti e difetti di orientamenti assunti dalla Compagnia in determinati contesti. E val qui la pena di sottolineare che l'autore non si limita ad indicare la ristrettezza mentale di singoli superiori, incapaci, ad esempio, di comprendere la fecondità degli sforzi di inculturazione del cristianesimo da parte di quei gesuiti che, in contatto nelle missioni con civiltà del tutto diverse da quella occidentale, avevano capito la possibilità di mantenere integro il nucleo della fede evangelica anche sotto rivestimenti linguistici ed espressivi diversi dalla tradizione europea. Egli indica anche strozzature più generali, che inficiavano la linea complessiva dell'ordine: dall'immobilizzarsi della "Ratio studiorum" in un modulo fisso, quando la concezione del sapere, così come era stato inteso alla fine del Cinquecento, aveva fatto il suo tempo, al cristallizzarsi di una visione positiva dell'antico regime - sostanzialmente identificato con quell'ordine cristiano che meglio poteva aiutare lo sviluppo della Chiesa - quando ormai la coscienza degli uomini si stava apertamente volgendo a favore della democrazia e della separazione tra Stato e Chiesa.
Infine - nonostante il particolare voto di obbedienza verso il papa che costituisce la caratteristica specifica della Compagnia - l'autore mette in evidenza sia errori di valutazione che la prospettiva storica rivela nell'azione del papato nei confronti dell'ordine, sia l'atteggiamento autoritario con cui i vertici vaticani hanno talora cercato di bloccare l'espressione degli orientamenti maturati nell'ordine: il riferimento non è solo alla soppressione settecentesca, ma a diversi altri episodi, come le rimostranze della congregazione generale del 1573 a Gregorio XIII che voleva imporre la scelta di un generale; le "rappresentazioni" inviate nel 1974 a Paolo VI circa l'estensione del quarto voto a tutti i gesuiti; il "commissariamento" dell'ordine deciso da Giovanni Paolo II nel 1981.
Tuttavia il libro lascia ugualmente l'impressione che, almeno su alcuni aspetti, il rigore critico non sia stato sempre rispettato. In particolare non appare ancora decantato il problema delle lotte che i gesuiti hanno dovuto affrontare sia all'interno della Chiesa - si pensi solo al giansenismo o alla questione dei riti cinesi - sia nel rapporto con la società dalla polemica dei "lumi", ben rappresentata dall'opera di d'Alembert 'Sur la déstruction des Jésuites', del 1753 fino all'anticlericalismo du un Gambetta che proclamava "Dov'è il gesuita, lì è il nemico"). È vero che nel dar ragione di questi attacchi l'autore rinuncia alla tradizione storiografica che si richiamava, semplicisticamente, alla teoria della congiura anticristiana (tanche se qualcosa è rimasto: a p. 386 ancora si fa riferimento alla "cospirazione" che i 'philosophes' avrebbero ordito per ottenere la soppressione dell'ordine; ma si tratta dell'unica, in fondo marginale, sopravvivenza di una linea interpretativa da secoli sedimentata nella Compagnia). Bangert propende infatti per una diversa tesi complessiva: nati nell'età del Rinascimento, i gesuiti, non legati al mondo medievale, combatterono all'interno della Chiesa contro quanti ostacolavano il suo adattamento a quella modernità, che ai loro occhi era costituita da cultura classica, apostolato missionario, alleanza tra il trono e l'altare all'interno delle monarchie nazionali; quando questo mondo moderno si dissolse, essi non seppero adeguarsi al nuovo e si scontrarono con le forze, in prevalenza extraecclesiali, che volevano il superamento di quell'ordine.
La spiegazione è argomentata in maniera valida ed appare convincente, non però sufficiente. Essa elude il problema posto dalle motivazioni che i nemici dei gesuiti diedero a giustificazione della loro lotta: il potere che nella Chiesa, nella politica, nella cultura, nella finanza, nel commercio, ecc. l'ordine aveva acquisito. Si trattava solo di un mito elaborato per meglio combattere la Compagnia, come il libro lascia intendere? Ma allora sarebbe stato opportuno delineare gli effettivi confini di quel potere, anziché ignorare una questione che lo studioso ancora deve porre, se vuol capire il ruolo reale dei gesuiti nel processo storico della modernità.

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