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Storia della letteratura del terrore. Il «gotico» dal Settecento a oggi - David Punter - copertina
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Storia della letteratura del terrore. Il «gotico» dal Settecento a oggi - David Punter - copertina
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Dettagli

1997
1 novembre 1997
496 p.
9788835943631

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1985
recensione di Skey, M., L'Indice 1985, n. 6

Come si fa a scrivere un romanzo gotico? Ecco la ricetta del reverendo Edward Mangin, in "An Essay on Light Reading" (1808): "Primo: prendete una grande quantità di carta, penne e inchiostro, e un vocabolario della lingua inglese. Poi: raccogliete un vasto assortimento di nomi, tenendo da parte i più romantici per l'eroe e per l'eroina. Indi, unendo dei personaggi a ciascuna di tali appellazioni, fateli conversare fra loro su un argomento qualsiasi, per lettera o a voce, per tutto il tempo che l'editore crede opportuno. Inframmezzate poi, ma con giudizio, marchesi, marchese, monaci, monache, caverne, torri, laghi, e valli. Trasportate con frequenza la scena e i personaggi da un'estremità all'altra d'Europa. Che la vostra eroina sia sempre fragile, con gli occhi celesti: avvezzatela a esistere senza mangiare, n‚ bere, n‚ dormire, il che le consentirà di sopportare senza inconvenienti una dose di fatica tale da estenuare un cammello. Che il vostro eroe assomigli il più possibile all'Apollo del Belvedere, Ercole, e Antinoo messi insieme, e assicuratevi che sappia nuotare.." .
Il romanzo gotico classico (dal 1764 anno di pubblicazione di "The Castle of Otranto", fin verso il 1820) costituisce una sorta di sbandata, un momento di autentica deviazione dalla norma ultra-realistica che la narrativa inglese va perfezionando ormai da alcuni decenni. Oscillando spericolatamente tra realtà e finzione, tra razionalità e illusione, si impadronisce di temi e di situazioni che prima di allora erano riservati alla poesia e al dramma, grazie soprattutto alla nuova estetica del sublime, che riconosce l'importanza primaria del terrore e codifica i sottili piaceri che ne derivano. Genere formulaico per eccellenza, prende avidamente spunti narrativi e personaggi convenzionali da tutte le parti: dal romanzo picaresco (cui deve il suo carattere peripatetico); dal culto delle rovine, del pittoresco, del crepuscolo celtico; dalla "poesia dei cimiteri", dai drammaturghi del primo Seicento, in primo luogo Shakespeare, Webster, e Tourneur, che offrono anche il prototipo del fosco anti-eroe mediterraneo e machiavellico, rielaborato ulteriormente nel Satana di Milton. In un secondo tempo, verso il 1795, si verifica una nuova influenza, quella tedesca, con i suoi cavalieri-masnadieri, le sue società segrete, il folklore, e persino il mesmerismo. Infine vi sono alcuni personaggi mitici o leggendari: l'Ebreo errante, Faust e Prometeo, l'eroe byroniano (modellato da Byron sui satanici eroi negativi della Radcliffe e di Lewis, poi da lui interpretato nella vita), e last but not least, il vampiro-dandy alla Polidori.
Nulla di strano, perciò, se la ricetta volutamente telegrafica del Mangin ci sembra oggi un po' troppo selettiva. Limitata com'è in gran parte a quei fenomeni che il romanzo terrifico ha in comune con quello sentimentale (un rapporto peraltro imprescindibile, come sottolineano diverse parodie del gotico, da "Azemia" di William Beckford a "Northanger Abbey" di Jane Austen). Per fare una catalogazione esauriente degli elementi tipici del gotico non basterebbero gli sforzi di un Cuvier redivivo e magari anche pazzo. Troviamo l'intero mondo vegetale, animale, e minerale, l'intera psicopatologia umana, e uno spaccato rappresentativo del sovrannaturale: edera, cipressi, querce colpite dal fulmine; civette, rospi, corvi, pipistrelli, mucchi di ossa e scheletri interi; manoscritti ammuffiti, ritratti parlanti, armature semoventi, strumenti di tortura - il tutto in un ambiente esterno che ricorda (non casualmente) i quadri di Salvator Rosa, Guido Reni, e Claude Lorrain, e con cupi interni degni del Piranesi delle "Carceri d'Invenzione", con quell'angoscioso ripetersi all'infinito descritto da De Quincey in una pagina memorabile delle "Confessioni".
Grazie anche al cinema, non pochi elementi del "nero" tardo settecentesco sono ancora potenti oggi: così quando Umberto Eco confessa nelle "Postille" a "Il nome della rosa" (Bompiani 1983) di aver incominciato il suo denso giallo post-moderno "mosso da una idea seminale. Avevo voglia di avvelenare un monaco", oppure che il romanzo "aveva un altro titolo di lavoro, che era "L'abbazia del delitto"", non vi è bisogno di spiegazioni. Il che vuol dire che tutto sommato una parte sostanziale del lessico del gotico è sopravvissuto, insieme a frammenti importanti del la sintassi.
Bene hanno fatto gli Editori Riuniti a proporre, a soli quattro anni dall'originale inglese (Longman 1980) il ricco compendio storico-critico di David Punter. L'interesse per il gotico sembra essere in aumento in Italia come altrove. Vent'anni fa, gli unici romanzi disponibili erano "Vathek" (Einaudi 1946), "Frankenstein* e "Il castello di Otranto" (nella vecchia "Bur", 1952 e 1950). Ora invece sono reperibili quasi tutte le opere più significative. Anche nel panorama critico - fatta eccezione per il Praz di "La carne, la morte e il diavolo" (1930) e "La chimera e il terrore" di R. Barbolini (1984) - lo studio documentatissimo di Punter viene a colmare una notevole lacuna.
La parte più persuasiva di questa Storia è quella più tradizionale: i cinque capitoli iniziali dedicati al gotico classico. Dopo una introduzione che passa in rassegna molti degli studi critici più significativi degli ultimi sessant'anni Punter offre una dettagliata cronistoria ricca di citazioni, delle origini della moda gotica; segue poi un capitolo dedicato alla Radcliffe e a "Monk" Lewis, uno su gotico e romanticismo, e infine un'analisi densa e suggestiva della dialettica della persecuzione nelle opere di Godwin, Maturin e Hogg.
Fra le pagine più interessami sono quelle sulla breve ma intensa stagione (1794-97) che vide la pubblicazione de "I misteri di Udolpho", "Il monaco", e infine "L'italiano", romanzo ancora oggi sottovalutato, che sembra la risposta della Radcliffe agli eccessi, all'autentico horror che Lewis aveva distillato dallo Schauerroman tedesco.
Altrettanto utili le pagine sulla sensibilità gotica nella poesia, da Blake a Coleridge e da Byron a Shelley e Keats.
L'unica omissione rilevante riguarda quel capolavoro dell'esotico immaginario che è il "Vathek" di Beekford - forse in omaggio a una vecchia (e, crediamo, superata) tradizione critica che lo considera troppo anomalo per essere annoverato tra i romanzi gotici veri e propri. Ma vi sono pure altre mancanze, molto meno appariscenti, che male si confanno a un autore il quale si affretta, sin dalla primissima pagina, a dichiarare che pone "il pensiero marxista e sociologico" alla base degli "approcci più validi alla critica letteraria", e a insistere sulla imprescindibilità di un "punto di vista almeno implicitamente interdisciplinare"(p. 7). Una lettura "marxista e sociologica" del gotico avrebbe richiesto un'abbondanza di dati precisi sull'industria editoriale e sul pubblico, che qui non troviamo. Avrebbe preso in considerazione anche i romanzi minori, che uscirono a decine dai torchi di librai-stampatori come William Lane della Minerva Press per riempire gli scaffali delle biblioteche circolanti: qui l'unico giudicato degno di qualche riga di commento(alle pp. 119-120) è "The Midnight Bell" (1798), uno dei sette "Northanger novels" immortalati da Jane Austen. Ma pure il dramma gotico è importante (cosa che per la verità Punter ammette, ma solo per inciso, in un capitolo su Dickens e Wilkie Collins); ed è peraltro fondamentale il fenomeno del riciclaggio dei romanzi gotici, interminabili e molto costosi, in agili volumetti (chapbooks) venduti a prezzi stracciati per raggiungere un'altra fetta di pubblico. Infine, sarebbe stato utile sapere qualcosa sulle recensioni (tutte bocciature schizzinose? - niente affatto) e anche sulle parodie, che ovviamente hanno molto da insegnarci sul grado di sofisticazione del pubblico.
Nella parte rimanente del libro Punter si occupa di opere pubblicate tra il 1820 circa e il 1979, con due bei capitoli dedicati ad autori statunitensi. Altri capitoli trattano di "gotico, storia, e classi medie" (Scott, Bulwer-Lytton, ecc.) "gotico e romanzo sensazionale" (Dickens, Collins, e Le Fanu), "gotico e decadentismo" (Stevenson, Wilde, ecc.), i racconti del sovrannaturale tout court (Walter de la Mare, Algernon Blackwood, M.R. James), più alcuni autori meglio noti per altri generi (come Henry James, Arthur Conan Doyle, H. G. Wells), e il cinema dell'orrore (piuttosto debole). Il penultimo capitolo, intitolato "Moderne percezioni del barbarico", tratta gli autori di lingua inglese degli ultimi cinquant'anni i quali si rifanno più o meno dichiaratamente al gotico classico nel dipingere i loro paesaggi mentali grotteschi e ossessivi: da Mervyn Peake a Isak Dinesen a Angela Carter.
Vi sono molte osservazioni acute su singoli autori e opere: particolarmente degne di nota le pagine sul decadentismo, sul tema del doppio in "Lo strano caso del dottor Jekyll e di Mr Hyde" e in "Il ritratto di Dorian Grey" e sul "Dracula" di Bram Stoker (una difesa inattesa e piuttosto persuasiva). Tuttavia, la tesi che sottende questa seconda parte dello studio di Punter si invalida da sola e lascia il lettore frustrato e un po' irritato poiché è fondata su un ragionamento circolare. Per riassumerlo con le parole dell'autore, "la maggior parta delle definizioni valide del 'gotico' sono state elaborate dai critici in stretta connessione con il 'gotico originario' del tardo Settecento e del primo Ottocento" (p. 333); tale restrizione cronologica è "insoddisfacente", "inadeguata" (p. 7), in quanto esiste invece una "tradizione gotica unitaria", una sorta di continuum fatta di svariati elementi superficiali e di un "cuore" i cui elementi più significativi sono la paranoia, la barbarie, e il concetto di tabù (pp. 334-335).
Con l'agile formula "gotico = orrore, perciò terrore = gotico", Punter riesce persino ad asserire che "molti dei più noti maestri della più recente narrativa del soprannaturale - Algernon Blackwood, M.R. James, H.P. Lovecraft - derivano le loro tecniche di suspense e il loro senso dell'arcaico direttamente dalla narrativa gotica originale", anche se poi fa una parziale ritrattazione: "ciò non significa... che tutta la narrativa dell'orrore del XX secolo abbia le sue radici nel 'gotico'" (pp. 12-13).
Non vediamo invece che altro potrebbe significare. Ed è piuttosto difficile essere d'accordo. Già prima del 1820, forse addirittura nel 1814 con la pubblicazione del "Waverley" di Scott, la "fiamma gotica" (per usare l'espressione cara a Devendra P. Varma) incominciava ad affievolirsi: dopo pochi anni tutto quel che rimase del gotico era un guazzabuglio di ambienti e di personaggi che ogni autore era, ed è, libero di sfruttate come vuole. Per Punter, invece, basta davvero pochissimo perché un'opera possa essere definita "gotica". Prendiamo il caso delle ghost-stories. Qui "gotico = fantasma per cui fantasma = gotico". E perché? I fantasmi, si sa, c'erano già molto prima della moda gotica settecentesca; e a giudicare dalla loro presenza nella letteratura dopo il 1820, la stagione gotica non cambiò minimamente n‚ i loro connotati, n‚ le abitudini. Da questa tradizione popolare traggono la loro forza gli scrittori di ghost-stories da Defoe a Dickens a Montague Rhodes James. Secondo Punter, invece, quest'ultimo avrebbe sviluppato "uno stile deliberatamente arcaicizzante sulla base degli scrittori gotici originari (...) convalidando, in un modo o nell'altro, la continuità degli interessi gotici centrali" (p. 333).
Non ci sembra che tali osservazioni si prestino a giustificare l'inclusione di M.R. James in un elenco di scrittori "gotici". I criteri di Punter, se applicati in una sorta di reductio ad absurdum ci porterebbero a bollare con lo stesso epiteto non pochi dei racconti di Rudyard Kipling e buona parte della poesia di T.S. Eliot. Già che ci siamo, dovremmo includere anche il giallo classico (fu Eliot stesso a dire che "The Moonstone" di Collins, qui trattato come un romanzo gotico, è "il primo, il più lungo, il migliore dei moderni romanzi gialli inglesi", e gli fa eco Italo Calvino nella sua antologia mondadoriana di racconti fantastici dell'Ottocento). E la fantascienza, poi? Non deriva in gran parte da "Frankestein*?
Ma se non si può essere d'accordo con Punter nel suo tentativo di goticizzare mezza letteratura inglese e americana, è doveroso dargli atto di un notevole lavoro di sintesi: questa "Storia della letteratura del terrore" colma una lacuna che incominciava a diventare seria. La traduzione (di Ottavio Fatica) è fedele e scorrevole. Peccato che nell'appendice bibliografica si aggirino ancora impenitenti tante edizioni fantasma.

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