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Storia della letteratura giapponese. Vol. 1: Dalle origini al XVI secolo. - Shuichi Kato - copertina
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Descrizione


Questo primo volume della "Storia della letteratura giapponese" giunge sino al XVI secolo e spazia dalla più antica antologia poetica, il "Man'yoshu", ai racconti popolari, dalla narrativa delle "dame di corte" di Heian tra cui primeggia l'opera di Murashaki Shikibu, "Storia di Genji", alle epopee cavalleresche. Filo conduttore di tutta l'opera è la convinzione dell'autore che i giapponesi (al contrario dei cinesi e degli occidentali) non siano affatto portati al trascendentale e all'assoluto, ma siano ancorati a "questo mondo" in una visione prettamente terrena della vita che egli ritrova nella maggior parte della produzione culturale.
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Dettagli

5
2002
24 luglio 1998
XV-380 p.
9788831763318

Voce della critica


(recensione pubblicata per l'edizione del 1987)
recensione di Orsi, M.T., L'Indice 1987, n. 7

Il nome dello studioso giapponese Kato Shuichi, la cui attività spazia dalla narrativa, alla saggistica, alla critica letteraria e storico-artistica mantenendo costante un atteggiamento di anticonformismo intellettuale, è in Italia ancora poco conosciuto dal di fuori della cerchia degli studiosi di cose giapponesi. Attivo nel campo letterario già durante gli anni della guerra del Pacifico come esponente di un movimento di rinnovamento poetico, "Matin‚e Poétique", Kato è autore di numerosi saggi: fra essi, "Zasshu bunka" ("Una cultura ibrida") del 1956 anticipa la tesi ripresa in opere successive, della coesistenza nella storia intellettuale giapponese di un duplice carattere, costituito dal persistere di elementi autoctoni strettamente connessi ad altri elaborati attraverso i rapporti con il mondo occidentale.
La "Storia della letteratura giapponese" che appare oggi nell'edizione italiana a cura di Adriana Boscaro, rappresenta uno dei risultati di maggior respiro dello studioso, qui intento non solo a ripercorrere le tappe principali della letteratura nella sua evoluzione storica, ma soprattutto ad ampliare il campo di indagine, sostituendo ad una "tradizionale" e schematica organizzazione del materiale (romanzo-poesia-teatro, a loro volta descritti nella successione cronologica di periodi definiti dalla storiografia giapponese), una più complessiva visione culturale. Con tale scelta, l'autore non solo offre un panorama di studio stimolante e disancorato da una serie di riferimenti obbligati, ai quali molto spesso si riconducono le pur ottime storie della letteratura apparse negli ultimi tempi in Giappone, ma si mostra anche coerente con uno degli assunti del proprio lavoro: ossia che "in Giappone la storia della letteratura riassume al massimo grado sia la storia del pensiero sia la sensibilità della sua gente" (pag. 5 dell'edizione italiana). Letteratura intesa quindi come veicolo principe di trasmissione della cultura giapponese che, nella visione di Kato, più che elaborare costruzioni metafisiche si è tendenzialmente espressa nella concreta pagina letteraria. Allo stesso modo, anche i grandi sistemi filosofici assorbiti dall'estero (in particolare dalla Cina o dall'occidente) sono stati elaborati fino a dar vita più che a sistemi speculativi, a discorsi letterari calati nella realtà quotidiana.
Da queste premesse si sviluppa il discorso dell'autore che nei vari capitoli analizza via via i gruppi sociali che hanno espresso la cultura letteraria dei momenti presi in esame, concentrandosi in particolare su due momenti "di svolta": l'assimilazione della cultura cinese e continentale (dal IX secolo) e l'ascesa del potere militare che si venne sostituendo a quello civile dapprima politicamente poi come nucleo culturale, dal XII secolo in avanti. Ampio spazio è lasciato alla produzione in lingua cinese che, molto spesso ingiustamente trascurata, ha invece un ruolo essenziale per completare e chiarire il quadro complessivo attraverso i rapporti intercorsi con le opere scritte in giapponese. La presenza in Giappone di prosa e poesia in lingua cinese non solo ha costituito, in pratica fino al secolo scorso, un riferimento di prestigio culturale, ma ha permesso di affrontare generi e temi che la produzione colta in lingua giapponese veniva progressivamente rifiutando. Uno dei meriti di Kato Shuichi è di aver presentato le antologie ed i trattati poetici in cinese dei secoli IX e XI, di essersi soffermato sulle pagine della poesia dei centri religiosi zen del XIV-XV secolo, e ancora sulla figura di Ikkyu, monaco zen, vagabondo, eremita, anticonformista e critico del sistema, che resta una delle voci più straordinarie l'unico, secondo le parole di Kato "a creare un mondo poetico originale dando corposità ad una ideologia straniera e trasmettendo le sue esperienze di estasi sessuale" (p. 263).
Al tempo stesso un'attenta analisi è rivolta alle opere in giapponese; nell'esaminare le antologie poetiche Kato sottolinea la differenza fra una poesia frutto di un'estetica non codificata, libera nel linguaggio e nata da autori di diversa estrazione sociale quale si ritrova nel "Manyoshu" (VIII secolo), e la successiva lirica di corte perfetta nella forma, ripiegata progressivamente verso il passato, espressione di una sensibilità puntigliosamente coltivata, di cui Kato riconosce l'enorme portata culturale pur non risparmiando qualche riserva. Qui come altrove l'interesse principale dello scrittore si concentra sulla produzione meno integrata con la cultura ufficiale e in questa chiave è interpretata anche la letteratura femminile del periodo Heian (IX-XII secolo), di cui Kato evidenzia l'importanza come voce originale e "libera" rispetto all'opera codificata dei letterati contemporanei. Al "Genji monogatari", forse il romanzo giapponese più conosciuto all'estero, Kato dedica poche pagine ricche tuttavia di suggerimenti, riscoprendo la struttura unitaria del romanzo nella "percezione che la realtà del tempo è qualcosa di inevitabile che rende relative tutte le attività e le emozioni dell'uomo" (p. 170). Se in altra sede, lo stesso Kato avrebbe sostenuto che l'enfasi sul presente resta una delle caratteristiche essenziali della cultura giapponese e avrebbe portato come esempio inevitabile i ben noti emakimono che possono essere visti solo in una sezione senza far riferimento a ciò che precede o ciò che segue, nelle pagine sul "Genji" la stessa dimensione è accettata solo in parte: certamente il "Genji" può anche essere letto nei suoi singoli episodi legati da un filo molto tenue ma una coerente unità è data proprio dal tempo che lega in modo percettibile il passato al presente, episodi lontani con la realtà vissuta dai protagonisti nel momento attuale.
Nel corso del libro l'autore si rivolge senza dubbio ad un pubblico colto e ben familiare con la produzione letteraria giapponese (e questo può forse rappresentare un punto di scompenso per il lettore italiano non specialista). D'altra parte, se molti riferimenti sono dati per scontati, è evidente che per lo scrittore non si tratta di fornire informazioni ma nuove possibilità interpretative e proposte di lettura. Lo stesso discorso più volte sottolineato di una tendenza a "nipponizzare" sistemi di pensiero e prestiti culturali di origine straniera, se può far nascere nel lettore il sospetto che si voglia sottolineare a tutti i costi (sia pure in modo sofisticato) l'"unicità" della cultura giapponese, è condotto con un certo piglio ironico e provocatorio e con allusioni neanche troppo velate a certo conformismo dell'establishment culturale nipponico.
Un'ultima considerazione riguarda l'edizione italiana che ha dovuto misurarsi con vari problemi, primo fra tutti, l'essere, l'opera di Kato, una costruzione ambiziosa e complessa che spazia dalla storia, alla religione, alla letteratura, facendo ampio uso di terminologie specifiche cui si aggiungono le elaborazioni personali dell'autore sia a livello interpretativo sia a quello lessicale. La necessità di mediare le considerazioni di Kato, fornendo, quando necessario, informazioni e ampliamenti, e, d'altro canto, l'importanza di non alterare se non nei limiti concordati con lo stesso scrittore, il testo originale sono state certo considerazioni che hanno portato alla stesura dell'ampio glossario presente in appendice, che si offre come punto di riferimento indispensabile e ricco di precisazioni. Un cenno particolare merita la traduzione delle numerose poesie che costellano il libro e il cui apparato retorico è tale da mettere a dura prova la pazienza e la capacità ermeneutica degli studiosi, ma che Adriana Boscaro riesce a presentare in una versione rispettosa dell'originale, pur se saggiamente sganciata da una resa troppo puntigliosa che avrebbe viceversa rischiato di appesantirne il testo, senza giovare alla comprensione e all'apprezzamento del contenuto. Due sole brevi pagine ci forniscono infine l'elenco delle opere citate delle quali esiste una traduzione italiana: un panorama ancora troppo esiguo per una buona conoscenza della letteratura giapponese.

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