Marzio Barbagli, sociologo e professore emerito all'Università di Bologna, è tra i più autorevoli studiosi dei processi di trasformazione della famiglia italiana. Il suo ultimo libro sceglie di raccontare l'evoluzione dei comportamenti affettivi e sessuali da un'angolatura particolare, a partire dalle vicissitudini di due individui fuori dal comune. Innanzitutto quelle di una giovane donna vissuta a metà del Settecento, Caterina Vizzani. Caterina non è una regina e nemmeno un'aristocratica (le donne di cui solitamente la storia ci consegna la memoria), è figlia di un falegname e benché di umili origini è però una donna eccezionale. A sedici anni, "per amore verso le Fanciulle sue pari", decide di prendere il nome di Giovanni Bordoni e di farsi passare per uomo; come uomo vive per otto anni, fra travestimenti, avventure e seduzioni di fanciulle. Durante la fuga seguita al rapimento della nipote del parroco di Montepulciano, viene ferita da un colpo d'archibugio; all'ospedale di Siena confessa di essere donna a una monaca, e in punto di morte le chiede di essere seppellita in abiti femminili e con il capo ornato di una ghirlanda "come, d'ordinario costumar si suole con quelle che Pulcelle si muojono". L'altro protagonista fuori dal comune è Giovanni Bianchi, professore di anatomia all'Università di Siena; venuto a sapere della giovane donna che "si infingeva uomo", decide di indagare le ragioni della vita eccezionale di Caterina, dei suoi travestimenti e soprattutto della sua attrazione per le donne, facendo valere competenze non solo di medico ma anche di uomo di cultura. Per raccogliere i risultati delle sue ricerche scrive un piccolo libro, Breve storia della vita di Catterina Vizzani Romana, pubblicato fra mille difficoltà nel 1744, che ritroviamo in appendice al volume di Barbagli. La curiosità degli uomini sul corpo delle donne è tutto fuorché una novità: da sempre il controllo della società si esercita anche con il controllo del corpo delle donne. Sessualità e riproduzione, come osserva Barbagli, sono "pilastri della famiglia patriarcale e patrilineare", richiedono conoscenza e vigilanza, indicazioni sicure di verginità e fertilità, di fedeltà e paternità. Ne fa le spese anche il corpo di Caterina: in ospedale il suo cadavere viene sottoposto ad autopsia, per accertarne normalità degli organi sessuali femminili e verginità. La singolarità della sua vicenda suscita però ulteriore, morboso, interesse: "Trovammo scrive Bianchi che alcuni Giovani dello Spedale furtivamente per soverchia curiosità le aveano il ventre aperto
col pretesto, dissero, che potesse essere gravida". Nel corpo devono essere iscritte le ragioni di una vita fuori dal comune: è lì che inizialmente le cerca anche Bianchi, anche se con altra, compassionevole, curiosità. Comincia così l'indagine delle ragioni dell'attrazione per le donne a partire da quelle indicate dalla tradizione, "errore della natura o disordine o perversione dell'immaginazione". La storia di Caterina diventa allora la storia della ricerca di un senso e di un nome, di un'etichetta e una categoria per attrazioni a lungo restate mute e invisibili, a lungo considerate "insignificanti, impensabili o addirittura impossibili". Desideri muti eppure presenti nell'arte e nella letteratura; desideri insignificanti, ma insieme temuti e perseguiti, minaccia alla morale ma ancor più all'ordine sociale. Non sappiamo che senso Caterina attribuisse alla propria vicenda, o con che nome chiamasse i propri desideri. Bianchi, e Barbagli con lui, provano a ricostruire senso e nome, in testi medici e trattati di morale, nel diritto canonico e civile, nelle parole dei soli che hanno narrato vicende simili, "uomini preposti al mantenimento dell'ordine, i teologi, i giuristi, i giudici dei tribunali religiosi e civili". Ritrovano nomi noti, che continuano a risuonare sinistramente immutati anche ai giorni nostri, seppure (a volte) a diverse latitudini: disfunzione, disordine, perversione, reato, peccato. Non sembra singolare, allora, che l'uomo di scienza decida di allontanarsi dai testi scientifici per rivolgersi a poeti e poetesse che hanno cantato l'amore fra donne: Ovidio, Boiardo, Ariosto, Laudomia Forteguerri, oltre che, naturalmente, Saffo. All'indagine del medico settecentesco, Barbagli aggiunge la consapevolezza contemporanea, e la storia di Caterina diventa nell'epilogo lo spunto per un confronto con le donne che oggi "si innamorano di persone dello stesso sesso". Oggi, ci dice l'autore, abbiamo a disposizione nomi (omosessuale, lesbica, gay) che nessuna donna del Settecento possedeva, quale fosse il suo ceto o il suo livello di istruzione, e che "permettono di attribuire un significato alle proprie esperienze, ai propri sentimenti e ai propri atti, di trovare un posto nello spazio sociale, di dare un senso alla propria esistenza". I nomi sono per noi mappe di senso. Ma definizioni e categorizzazioni ("eterosessuale" e "omosessuale" ma anche "uomo" e "donna") influenzano ciò che gli altri si aspettano da noi, e come gli altri ci tratteranno: categorizzare gli individui, nominare e ordinare l'esperienza, in particolare l'esperienza sociale, ha una notevole portata normativa, e non è qualcosa che i singoli individui possano controllare. I nomi sono allora strumenti di gestione sociale, portano con sé ideologie e definiscono il ventaglio di possibilità in cui ci possiamo collocare e da cui possiamo valutare ed essere valutati dagli altri. Proiettano stereotipi, imprigionano o rimpiccioliscono qualcosa di noi stessi, la nostra unicità. Il ventaglio di possibilità è insieme un ventaglio di impossibilità: i nomi definiscono cosa siamo e cosa possiamo diventare, ma anche cosa non possiamo diventare. Ci dicono come vestirci, muoverci, comportarci; come amare e chi amare; chi non possiamo amare. Persino come essere uccisi, come per Caterina: il colpo d'archibugio che tronca la sua vita a ventiquattro anni è quasi l'ultimo omaggio alla sua identità maschile in un'epoca, ci ricorda Barbagli, che ancora riservava alle donne che avevano rapporti sessuali con altre donne l'impiccagione, il rogo, o, come sfregio estremo, l'annegamento. Certi nomi, più di altri, racchiudono giudizio, derisione, disprezzo. Certi nomi sono mezzi simbolici per stigmatizzare e deumanizzare individui, gruppi, comportamenti, affetti. Gli epiteti carichi di odio e di scherno da sempre usati per gli omosessuali contribuiscono a legittimare l'ostilità e il disprezzo; il loro uso (anche distratto o frivolo) normalizza o "naturalizza" gli atteggiamenti e i comportamenti discriminatori; il silenzio di fronte agli usi offensivi di altri si trasforma in consenso e approvazione, e muta noi in complici e sodali. È vero, oggi abbiamo a disposizione nomi che nessuna donna del Settecento possedeva. Eppure "In Italia oggi su cento donne che nel corso della propria vita sono state eroticamente attratte da un'altra donna solo il 34 per cento si dichiara omosessuale o bisessuale". Non è sempre facile riconoscersi in nomi che altri hanno creato, anche in nomi oggi neutri, ma a lungo associati a stigma, ostilità e denigrazione. Secondo dati Istat, nel 2011 il 45 per cento degli italiani dichiarava non accettabile che una coppia di donne per strada "si scambi un rapido bacio": il silenzio che circondava la giovane donna del Settecento è stato colmato, eppure Caterina dovrebbe lottare ancora oggi per "trovare un posto nello spazio sociale". Claudia Bianchi
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