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La cronaca che qui si presenta – stesa a Firenze presumibilmente verso la fine del Trecento – narra gli ultimi giorni di vita di fra’ Michele Minorita, predicatore dell’eretica “setta” dei Fraticelli, giunto a Firenze dalle Marche il 26 gennaio 1389 e attivo pochi mesi, prima di essere arrestato, il 20 aprile, processato e infine condotto al rogo, il successivo 30 aprile. Ben poco sappiamo di questo frate ardente di zelo apostolico e dominato da una sete sincera di martirio. L’autore, rimasto anonimo – forse un suo compagno, forse semplicemente un cittadino conquistato dalla sua parola –, ne fa il protagonista di una drammatica vicenda di ingiustizie e soprusi, dove il male, impersonato dall’«eretico» papa Giovanni XXII e dai suoi collaboratori «farisei», riesce alla fine ad avere ragione dell’umile frate, ma solo per vederlo trionfare morto, e proclamare santo dal popolo. Condotta sul modello, neanche troppo celato, della Passione secondo san Giovanni, la Storia conserva ancor oggi una straordinaria vitalità e freschezza. Asciutta, semplice, efficacissima, essa può senz’altro considerarsi uno dei testi più limpidi e interessanti della letteratura devota trecentesca, e costituisce inoltre una testimonianza di non secondario rilievo su un periodo denso di fervore spirituale e di spinte religiose contrastanti: singolare anticipazione, per certi versi, delle vicende che di lì a qualche decennio vedranno protagonista, nel medesimo scenario, un altro, più famoso, predicatore, fra’ Girolamo Savonarola.
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Il 30 aprile 1389 l'autore, Anonimo fiorentino, assiste "su il muro dell'Arno", al martirio di Fra' Michele, "un Fraticello della povera vita", dell'Ordine di San Francesco e fedele alla Regola. Fra' Michele credeva "nell'assoluta povertà di Cristo e dei suoi Apostoli" e chiamava eretico Papa Giovanni XXII che aveva minato la base della dottrina francescana sulla povertà. L'aveva condannata. Per questo motivo il vescovo di Firenze, il "principe degli ipocriti", lo condannò al rogo per eresia. Nel suo racconto l'Anonimo descrive il martirio di frate Michele imitando la Passione di Cristo; egli è più volte interrogato dal vescovo e poi dal Capitano del Popolo, ed "era menato dinanzi da loro, come agnello in mezzo de' lupi". E arrivato il giorno del martirio il frate attraversò Firenze partendo dalle carceri, dove era tenuto in ceppi, fino al luogo dove c'era il rogo. Fu la sua Via Crucis. "E tanto popolo v'era che appena si poteva vedere". E a tutti diceva "Io voglio morire per Cristo povero-Per la verità". Un bel viaggio nel Medioevo come se si fosse in presa diretta.
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