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A seguito all'esito del referendum istituzionale del 2 giugno, l'11 giugno 1946 giorno della proclamazione della Repubblica diveniva "giorno festivo a tutti gli effetti civili". Come ricordò Giuseppe Romita, all'epoca ministro degli Interni, per la prima volta nella storia al Viminale "era stata issata la bandiera italiana senza lo scudo sabaudo" mentre al Quirinale "sventolava ancora l'altra bandiera". Un episodio cronachistico? Può darsi, ma, anche, assai forte su quel piano simbolico che è così significativo quando lo storico sa collocarlo al punto giusto. Ce lo ricorda Ridolfi in questo libro che intende dare "un contributo alla individuazione di indirizzi di ricerca per una possibile storia della politica nell'Italia repubblicana, prendendo sul serio i fattori costitutivi (alcuni) del 'modello repubblicano' italiano" e cercando di "tenere assieme gli aspetti culturali ed educativi, istituzionali e amministrativi, simbolici e rituali". Si susseguono così capitoli dedicati ai "vademecum elettorali" del dopoguerra, alle "immagini, simboli e patriottismo repubblicani", alle "culture municipali e spazi di governo regionali", alle "passioni ed emozioni, rappresentazioni ed immaginario" e infine alla "politica dei colori". Curiosità? Sicuramente, ma non solo.
Può così diventare appassionante una "rivisitazione tanto dell'odonomastica quanto della toponomastica urbane", dai tempi in cui lo stato lasciava alle amministrazioni locali ("una volta avuto il via libero dal prefetto") ogni deliberazione in merito alla toponomastica, al successivo periodo fascista, quando la tutela dei nomi antichi era affidata al ministro dell'Istruzione Pubblica e l'autorizzazione per le nuove denominazioni spettava, burocraticamente, al prefetto, fino al secondo dopoguerra, quando "sul piano locale si ebbero forti spinte a riscrivere l'odonomastica" seguendo gli impulsi politici del tempo, mentre "la classe dirigente tese ad attutire l'impatto sociale e culturale del fenomeno". Insomma, dai nomi legati alla storia paleoliberale o sabauda e poi al mito fascista si passò a quelli scaturiti dall'epopea resistenziale, con dibattiti e scontri anche accesi, testimonianza di passioni irrequiete e ondivaghe. Non le abbiamo vissute ancora di recente, nei tira-e-molla delle celebrazioni per i 150 anni dell'Unità d'Italia? Così come non è ancor oggi ricca di significati, di scontri non solo verbali, di colpi bassi, di esiti giudiziari, l'appropriazione dei simboli politici da parte dei vari soggetti che si agitano sulla scena? "Nella democrazia repubblicana il linguaggio dei simboli divenne una parte essenziale nel processo di costruzione del consenso politico ed elettorale". Per dire: "Il recupero del tricolore patriottico, promosso dalle forze della Resistenza, assumeva il significato di un richiamo ad un'altra Italia diversa dal fascismo". E si cita Giorgio Bocca che racconta: "La prima falce e martello che vidi fu nel gennaio del '43 su un marciapiedi di Corso Dante a Cuneo [
] Una piccola falce e martello nera nel candore della neve". Tra rievocazioni e puntigliose ricerche, si snoda questo libro singolare, che intende rivendicare un suo onorevole posto nella "storia politica", così controversa e contrastata, della "coniugazione tra istituzioni repubblicane e identità nazionale".
Angiolo Bandinelli
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