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L'opera di Croce è un edificio ampio e arioso al quale ci si può accostare da diversi punti prospettici non necessariamente incompatibili. Conte ha scelto un approccio di storia della storiografia come quello offerto dall'analisi della concezione crociana della storia universale. Che Croce non amava in quanto pretesa di adunare i fatti del passato relativi alle cinque parti della terra. Le storie generali potevano essere compilazioni utili a un fine pratico perché offrivano un quadro d'insieme degli avvenimenti. Ma su un piano teoretico l'idea di una storia programmaticamente universale confliggeva con la concezione crociana della storia come storia contemporanea cioè come ricerca volta a chiarificare in un orizzonte conoscitivo un interrogativo attuale. Tuttavia il saggio dove pure si svolgono molte pertinenti osservazioni sul tema da cui prende le mosse non resta confinato a questa prospettiva particolare ma si allarga attraverso un'analisi che si concentra soprattutto sugli scritti dell'ultimo Croce e sull'andamento drammatico e irrisolto della sua riflessione. Intendere Croce come un pensatore della crisi è sicuramente una chiave di lettura feconda a patto però (e di questo l'autore è ben consapevole) di sapere che la crisi non è vissuta dal filosofo napoletano come una pulsione nichilistica né come una contemplazione romanticamente disillusa della decadenza. Al fondo della sua riflessione sta infatti la salda convinzione che la ragione umana possa sempre superare e metabolizzare il negativo. Una fede nel progresso non irenistica perché non riducibile a una fiducia irriflessa nelle magnifiche sorti ma cosciente che si sostanzia soprattutto in un incremento di eticità; come progresso insomma nel sempre più alto e più complesso dolore umano.
Maurizio Griffo
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