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Il volume, che studia alcune vicende inquisitoriali documentate fra il 1680 e il 1759 dall'Archivio diocesano di Sarno, è diviso in due parti. La prima, sulle tracce dei fondamentali studi di Adriano Prosperi, disegna un profilo esauriente dell'Inquisizione nella tarda età moderna come "tribunale della moralità quotidiana": non più concentrato sulla minaccia ereticale o sulla stregoneria, ma in grado di estendere la propria competenza a crimini come la bestemmia, il concubinato, l'istigazione ad turpia, le pratiche superstiziose. In questa nuova strategia un elemento importante erano i confessori, che esercitavano uno stretto controllo sulle coscienze dei penitenti (soprattutto le donne), inducevano alla denuncia o all'autodenuncia e spesso venivano meno al segreto sacramentale della confessione. Nella seconda parte la studiosa presenta una serie di casi concreti, sulla base di un'attenta disamina dei documenti processuali. Sono innanzitutto dei "bellissimi racconti" animati da "straordinari profili di donne", che mettono in luce nello stesso tempo una ricca serie di testimonianze sulla vita quotidiana, sull'economia e sulle relazioni sociali e sessuali dell'epoca, con un accento particolare su "riti e credenze locali" ancora vivi e operanti (si pensi alla figura della guaritrice o "janara"). Che la prima edizione di queste ricerche storiche, mai giunta in libreria, sia stata oggetto di censura da parte della curia diocesana, è certo un episodio dal "carattere grottescamente regressivo" e rispecchia il "senso di vergogna di una istituzione per i comportamenti del clero del passato" (come scrive Prosperi). Ma non tutti i mali vengono per nuocere: l'esistenza "tempestosa" del libro lo ha trasformato in un paradossale "documento della storia che racconta".
Rinaldo Rinaldi
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