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Streghetta mia - Bianca Pitzorno - copertina
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Streghetta mia - Bianca Pitzorno - copertina
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Descrizione


Asdrubale, giovane moderno, resta esterrefatto quando legge nel testamento che, per ereditare il suo immenso patrimonio, dovrà sposare una strega. Ma dove trovare una strega, nel ventesimo secolo? Questo è l'inizio di una storia allegra e divertente. Copertina blu (III livello di lettura).
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Dettagli

EL
1988
192 p., ill.
9788870681543

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martins
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bellissimo, la maestra stava leggendo un piccolo brano e io mi sono subito innamorata e sono subito andata a prenderlo in biblioteca

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Voce della critica


recensione di Salviati, C.I., L'Indice 1988, n.10

Emilia è una protagonista senza parola: quando la incontriamo ha otto giorni, i capelli non ci sono ancora ma presto saranno rossi, galleggia se immersa nell'acqua, e gli animali si mettono al suo servizio. Non lo sa nessuno, ma Emilia è una strega, ultima di sette sorelle e diviene l'oscuro oggetto delle ricerche da parte di un erede che, per dettato testamentario, potrà entrare in possesso del patrimonio solo sposando una strega. Costui non riuscirà ad impalmarla per ovvi motivi d'età e poi perché come principe azzurro risulta un tantino repellente, puzzolente e scrofoloso com'è; anzi, fa decisamente schifo, non si redime neppure alla fine e, immobilizzato da una frana di libri, verrà preso in carico dalla Benemerita.
La trama di questa sorridente fiaba moderna è frutto (anche) del dichiarato odio di Bianca Pitzorno per Andersen, nonché del talento narrativo di questa versatile e colta scrittrice per ragazzi che, con "Streghetta mia" ritorna al pubblico dei più piccoli, dopo avere sperimentato, non di rado con esiti molto felici, il romanzo di fantascienza e il romanzo storico ("La bambina col falcone" ha raggiunto tirature da best-seller). Con la fiaba classica la Pitzorno coltiva un rapporto ambiguo ma inevitabile: Rodari ha scritto che i racconti tradizionali costituiscono la materia prima delle fiabe moderne, e infatti l'autrice usa a man bassa elementi che da essa discendono. Nell'incredibile storia di Lavinia, ad esempio, si parla di una fata (e si precisa che ha le mutande azzurre) e di un oggetto magico (seppure con doti particolari di cui avremo occasione di parlare). In "Streghetta mia" c'è addirittura una strega e ne conseguono diversi fenomeni strabilianti: il tutto è immerso in un contesto di quotidiana vita borghese, nel quale uomini e donne lavorano, studiano, viaggiano, frequentano biblioteche: in fondo è la storia di una ricerca e di una agnizione attorno ad una neonata che vive in tranquillità e coerenza la sua essenza stregonesca, senza che tale 'diversità' vada a turbare più che tanto chi la circonda. Cosi il fenomeno soprannaturale si innesta serenamente nell'ordine delle cose, non lo sconvolge, e alla storia permane un'anima fiabesca, dimostrando come si possa senza forzature e con consapevole abilità affabulatoria, scrivere oggi fiabe che - come scrisse Marcello Argilli - hanno ancora il sapore di quelle di una volta, "vecchie, false e sbagliate". Le narrazioni tradizionali, per quanto belle siano, appaiono spesso al gusto adulto attuale ingenue e manichee, le narrazioni contemporanee risultano talvolta insopportabili per l'immediato risvolto educativo o anche solo istruttivo; ma una qualità distingue le storie fiabesche della Pitzorno: l'ironia. È il sottile filo di sorriso - per usare una felice espressione di Paola Pallottino -a farci amare questa piccola strega, gli animali fedeli e complici della sua eccezionale infanzia, lo sciagurato "infame" reprobo, la tribù tutta femminile ad eccezione del nonno, vecchia comparsa nella "Lucia di Lammermoor". Ed è il sorriso che unifica questa e le altre opere per i più piccoli della Pitzorno, la quale si pone così dalla parte di chi preferisce comunicare con i bambini attraverso il gioco dell'intelligenza piuttosto che col predicozzo paludato da aforisma. D'altronde la produzione per i piccoli riprende e conferma alcuni temi cari all'autrice, che una volta chiamai "multimediale" per la notevole esperienza maturata in diversi settori della comunicazione: l'Emilia di "Streghetta mia" è l'ennesima bambina di un repertorio che solo superficialmente potrebbe essere definito femminista. Le protagoniste di Bianca Pitzorno nulla hanno in comune con i personaggi femminili delle storie a tesi degli anni settanta, in cui il maschio cattivo o vacuo o opportunista, oppure tutte e tre le cose assieme, veniva messo in condizione di non nuocere per consentire alle femmine di realizzare - finalmente - il regno felice. Sono invece solo ragazze in gamba, che se la cavano anche da sole costruendo con i maschi un rapporto paritario. Al tema della destinazione sociale dei sessi è dedicato infatti il libro più famoso della Pitzorno, Extraterrestre alla pari, tema che viene ripreso, con modalità diverse, anche nei romanzi storici.
Le comunità di vita descritte dalla Pitzorno assomigliano più ad aggregazioni organizzate secondo una reciproca collaborazione e un reciproco rispetto che non a gruppi familistici: la limitata rappresentazione della famiglia, cioè della principale istituzione deputata al compito educativo e perciò alla trasmissione dei valori, è uno dei motivi che ritorna anche in "Streghetta mia". Presentando Emilia come figlia di un'attrice famosa e di un impresario, l'autrice utilizza un espediente per togliere di mezzo i genitori al primo apparire, in procinto come sono di saltare in aereo per una lunga tourn‚e. Emilia cresce benissimo, in una comunità che si dimostra protettiva e libertaria in giusto equilibrio, a differenza delle numerose neonate letterarie che, private dei genitori, procedono secondo un destino inevitabilmente contrassegnato da un mare di guai.
Durante una trasmissione televisiva un po' vacua (della quale nessuno ha detto male, salvo Pino Boero su "Rossoscuola") è stato detto che la Pitzorno è autrice dissacrante e quasi eversiva, lasciando intendere che è tale, perché nei suoi racconti, un paio di volte, si parla anche della cacca. Così si dimentica (o si ignora) che albe fiabe popolari tutt'altro che estraneo questo motivo (ma non per questo esse sono trasgressive) e che un autore come Rodari ha riscritto un mito greco più volte per parlare ai bambini della cacca (e non è trasgressivo solo per questo). Talvolta ho l'impressione che, se le fosse consentito dalla buona educazione di cui è dotata e dalle leggi del mercato editoriale, Bianca Pitzorno entrerebbe con maggiore frequenza nell'orizzonte lessicale del 'cacaboudin', termine intraducibile con il quale i francesi intendono la fase dell'oralità infantile pregna di parolacce. Ma parlare della "popò" ben oltre che fare un dispetto ai 'grandi' costituisce sostanzialmente un modo per entrare in sintonia con l'immaginario infantile, nel quale gli elementi coprolalici sono presenti più di quanto il bon ton sia disposto a consentire.
Ridurre a questo l'indubbia trasgressività della scrittura di Bianca Pitzarno non lascia tuttavia emergere il senso più profondo e ben più graffiante che investe prima di tutto la sua rappresentazione della famiglia: anzi, le sue bambine crescono in gruppi soprattutto simili alla banda n‚ sentono affatto la mancanza della famiglia, come le due protagoniste di "La casa sull'albero", che realizzano una buonissima convivenza con gli altri inquilini arborei, compresa una gatta, una mucca, due imprevisti neonati e il litigioso vicino del ramo superiore. Ancora rischiano di non essere sufficientemente sottolineati anche altri elementi di trasgressione, pur minori ma altrettanto significativi, come il particolare rapporto con il negativo, il brutto e il cattivo: la stregoneria, ad esempio, che notoriamente non gode buona fama e non sembra assolta n‚ dal fiabesco n‚ dalla storia, diventa con "Streghetta mia" il tema principale del racconto. E non si pensi ad alcuna redenzione o punizione finali anzi, si lascia intuire che in fondo l'eccezionalità di Emilia è l'eccezionalità dell'infanzia, dotata di uno specialissimo dialogo col mondo, e specialmente con il mondo vegetale ed animale.
Che i personaggi di Bianca Pitzorno possano risultare talvolta un po' scomodi, non sempre e comunque in riga con gli entusiasmi pedagogici del momento (ai quali, salvo rari casi, l'editoria per ragazzi è sensibile come una devota istitutrice) risulta confermato anche dalla particolare vicenda di quest'ultimo libro. Il quale esce sì nell' '88 per la E. Elle triestina, ma ha avuto nel 1986 un'edizione artigianale, quasi clandestina, tirata dalla stessa autrice per i tipi di Aventinopress (richiamo forse non casuale ad un vago sentore di protesta): vi ha dedicato un corsivo, gustosissimo come sempre, Giorgio Bini su "L. G. Argomenti" del settembre 1987.
Può essere allora un gioco divertente ed istruttivo procedere al confronto dell'edizione diciamo così casalinga con questa prima ufficiale, che porta circostanziati ritocchi e qualche differenza. La più rilevante riguarda le illustrazioni, che la Pitzorno aveva steso con una china veloce e un po' caricaturale, mentre nelle edizioni E. Elle esse sono curate da Lauretta Feleting. Né l'autrice avrebbe da lamentarsi, poiché esse risultano altrettanto indovinate e coerenti con l'ironia di una storia che sa ammiccare anche al lettore adulto. Un'altra differenza riguarda il finale - vera citazione delle regole del feuilleton, quando si svela che la chiave del mistero, creduta lontana, e sempre stata in realtà ben vicina - finale che proponeva nell'edizione casalinga un ripensamento della triste sorte da galeotto riservata al nipote reprobo, offrendogli una ciambella di salvataggio in un secondo finale, fortunatamente tagliato nella versione definitiva. E riguarda infine il titolo, poiché lo zio Sempronio era dapprima zio Sulpicio, nome che, a quanto pare, in alcune zone del settentrione italiano poteva richiamare poco nobili parti dell'anatomia maschile. Piccoli ritocchi, non v'è dubbio, che non inficiano la gradevolezza della storia. Ma l'intera vicenda editoriale di "Streghetta mia", compreso il periodo di clandestinità che lascia supporre qualche difficoltà anche per un'autrice affermata come Bianca Pitzorno, è un ulteriore, utile tassello che va a comporre il complesso, ambiguo e a volte inesplorato mosaico del mercato editoriale per l'infanzia.

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Bianca Pitzorno

1942, Sassari

Vive e lavora a Milano. Autrice di romanzi soprattutto per ragazzi. Dopo una laurea in Lettere antiche si trasferise a Milano per frequentare la Scuola Superiore delle Comunicazioni, dove si è specializzata in cinema e televisione. Ha lavorato per la Rai nella realizzazioni di molti programmi per bambini e ragazzi. Tra i suoi libri per i più piccoli ricordiamo Quando eravamo piccole, La bambola dell'alchimista, La casa sull'albero; trai i libri per i ragazzi: Diana, Parlare a vanvera, Re Mida ha le orecchie d'asino, Tornatrás. Tra gli editori che pubblicano le sue opere ci sono Mondadori, Einaudi Ragazzi, Salani e Gallucci.Nel 2021 pubblica un libro per adulti con Bompiani Sortilegi.

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