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Anno edizione: 2018
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In un magico cerchio di soggettività-oggettività-soggettività, appaiono alla intellettuale straniera poi estranea le apparenze di Ilio e le parvenze di Troia; uguali ai racconti della illusione napoleonica e dell'incendio di Mosca, soltanto i nomi degli eroi antichi dicendo nel labirinto senza fine delle analogie ed omonimie ma poi tacendo, tra i delitti politici nazisti sinistramente orientaleggianti ma differentemente, mentre il falso Kaiser faceva preda del favoleggiato non favoloso tesoro di Priamo (tanti anni dopo la scoperta delle Rovine in Anatolia) e l'America era Terra Promessa, non nuova dato che i gioiellieri ebrei già vi prosperavano e quindi incerta meta, eppure muti gli ori antichi non i nuovi... La testimone di eccezione, da un mondo diverso ma fattasi capace di immaginare, di figurarsi perlomeno qualcosa alle prese col Poema che segna l'inizio della letteratura occidentale, ma poi rassegnandone i Simboli, comparandone i Segni alle Allegorie bibliche smarrendone infine sia parvenze sia apparenze, nello sgomento restando lei la medesima di prima e la guerra attorno più insensata ed anche il destino! Non un saggio, un riferimento letterario, che già nel concetto era piaciuto ai sovietici, cui anche per questo quell'assurdo Tesoro prima fatto bottino poi in custodia... Sùbito prima che in Europa intera la invasione marxista delle scuole ed università stemperasse anche i saggi nei riferimenti ed anche più sbiaditi, in Italia Meridionale involontariamente indizi (lo sterminatore non uccisore costringe un re a mangiare in presenza della salma del figlio terminato morto per mostrare proprio orrore e non errore al veleno dei morbi e dimostrargli estinto il Regno nella non aspettazione della altra vitalità; ma quando Troia era veramente Ilio l'amarezza era per l'amplesso col vinto, tutto intero e vivo, oblioso davanti allo scandalizzato sciocco padre senza Regno per ritegno) ... Antecedenze e precedenze assenti nella indagine della R. Bespaloff. MAURO PASTORE
Il primo saggio del volume esprime al meglio l’indirizzo critico che Rachel Bespaloff diede al suo lavoro, riuscendo, nell’interpretazione di un testo particolare, ad assurgere a una visione universale dell’eterna lotta tra bene e male, sopraffazione e sottomissione, colpa e innocenza. Nel duello che contrappone Ettore ad Achille, la figura che primeggia gigantesca è quella dello sconfitto: “Ettore ha sofferto tutto, e ha perduto tutto tranne sé stesso… Né superuomo, né semidio, né simile agli dei, ma uomo, e principe tra gli uomini”. Ettore sente la pena di dovere abbandonare la moglie e il figlio; si riconosce terrorizzato di fronte al guerriero greco, addirittura fugge prima di affrontare il duello (nell’inseguimento del predatore e nella fuga della preda l’autrice riscopre la realtà eterna e cosmica del conflitto tra prepotenza e debolezza), ma sa in cosa consiste il suo dovere, accetta infine il destino che gli è stato assegnato. Achille, assetato di rancore e di vendetta, è invece “nutrito di scontento e di ombrosa irritazione”. Sono entrambi giovani, valorosi, belli: perché nel mondo di Omero la bellezza consiste nella forza, l’immortalità è data dalla gloria, e combattere è l’unico modo per redimere la banalità inerme della vita. Gli errori e le ingiustizie della storia non trovano riparazione se non nella poesia: “Essa sola restituisce al mondo ottenebrato la fierezza oltraggiata dalla superbia dei vincitori, il silenzio dei vinti”. Poiché vincitori e vinti sono ugualmente vittime, degli avversari e di sé stessi, delle loro passioni e delle loro viltà, eternamente in guerra: Polemos è il padre di tutte le cose, recita un frammento eracliteo. La guerra in Omero è inevitabile; la furia di Achille, la sua ira funesta, la sua folle sete di distruzione, sono l’essenza stessa della vita: “Senza Achille, l’umanità vivrebbe in pace. Senza Achille, l’umanità si rattrappirebbe, si addormenterebbe congelata dalla noia ben prima del raffreddamento del pianeta”.
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