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Dal 27 maggio 1906, compiuti da poco i quarant'anni, fino al 3 luglio 1950, due anni prima della morte, Benedetto Croce tenne un diario. Ogni sera (con poche significative eccezioni), su "libriccini di vario formato", annotò gli avvenimenti salienti della sua giornata, con lo scopo dichiarato di "invigilare" se stesso, misurando e scandendo il tempo della sua operosità. Dal 1926 Croce iniziò a copiare il suo diario (partendo dai fogli fin lì riempiti e poi periodicamente) su "volumi eguali". Del diario esistono dunque due redazioni manoscritte, con varianti non trascurabili. Ma questi Taccuini di guerra, con accurati indici e note di Cristina Cassani e una postfazione di Piero Craveri, rappresentano sotto il profilo filologico un "caso" ancora più intricato. Perché, oltre alle due redazioni manoscritte, questo Estratto di un diario ha avuto già, vivo Croce, altre due edizioni parziali: Quando l'Italia era tagliata in due (settembre 1943-giugno 1944), "Quaderni della Critica" (1946-47, nn. 6-9); e, ampliato di due mesi (dal luglio '43) con lo stesso titolo (non con quello di Quando l'Italia era divisa in due, indicato per lapsus nella postfazione) in un volumetto laterziano del 1948. Nel 1963 il testo fu poi incluso negli Scritti e discorsi politici (riediti nel 1993 da Bibliopolis, a cura di Angela Carella, nell'Edizione Nazionale). Un'edizione fuori commercio dell'intero diario, col testo della seconda redazione manoscritta, è stata rilasciata, con data 1987 (ma la data corretta, non segnalata nella postfazione, è 1992) dalla Fondazione Biblioteca Benedetto Croce. Ciascuna di queste edizioni è portatrice di ulteriori, più o meno significative, varianti.
La questione filologica relativa ai Taccuini, così alla meglio riassunta, non è poco sostanziale; e non solo perché riguarda colui che volle inciso sul soffitto della sua biblioteca il motto vichiano philosophia et philologia geminae ortae. A mostrare il rilievo della questione valga un esempio tratto proprio dai Taccuini di guerra. Il 17 aprile 1944 Croce annota le sue impressioni alla notizia della morte cruenta di Gentile: il testo che qui si legge risente fortemente della rielaborazione "letteraria" eseguita in vista della sua edizione. Il confronto con le due versioni manoscritte (già commentato da Gennaro Sasso in Per invigilare me stesso, il Mulino, 1989) è eloquente nel mostrare il travaglio umano, le antiche, e rinnovate, e contrastanti pulsioni politiche e filosofiche, che la tragica scomparsa del filosofo e un tempo amico suscitava in Croce.
In attesa dell'intero diario crociano, con le relative varianti, i Taccuini di guerra meritano comunque attenzione per la loro particolare natura di documento storico. Non che il resto del diario sia privo di riferimenti all'attualità politica (la Grande guerra, il fascismo); ma questi (con i loro risvolti psicologici) vanno pazientemente "distillati" dalla grande mole di studi, letture, disegni di lavori futuri, correzioni di bozze, corrispondenza evasa, cure e ampliamenti della biblioteca, che riempie le giornate e il diario di Croce. Tra il '43 e il '45 la situazione si capovolge: pur continuando a registrare i suoi lavori, il diario si infittisce di note e impressioni a commento delle frenetiche vicende che videro Croce letteralmente al centro della politica italiana, nodo tra i più intricati, in quel triennio, della politica mondiale.
Maurizio Tarantino
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