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A volte sono cannibali, a volte sono selvaggi, qualche critico-manager li scopre e li lancia perché sì, esplodono e poi implodono, muoiono o vivacchiano dilettanti e provinciali come sono nati.
Un libro che si legge tutto d'un fiato. Scritto in maniera asciutta e cruda. Un libro che racconta una tragedia - come purtroppo ce ne sono. E' la dimostrazione che come appariamo all'esterno purtroppo ci può condizionare per tutta la vita, indipendentemente da quanto si può essere ricchi dentro come persone. E' crudele, ma è ancora così nonostante si facciano tante chiacchiere a vuoto al riguardo. Questo libro mi ha fatto molto pensare a chi nasce con deformità così mastodontiche, a chi con queste mostruosità deve affrontare tutti i giorni della propria vita.
Recensioni
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recensioni di Pent, S. L'Indice del 2000, n. 11
Le premesse per farsi incuriosire dalla narrativa di Guido Conti ci sono tutte: la felicità delle ispirazioni, che navigano a ritroso nel tempo al recupero di tradizioni e mitologie popolari; la voglia di stupire, mescolando nella torpida quotidianità agreste della terra padana figure e simbologie quasi magiche, spesso arditamente orrorifiche; la leggerezza del tessuto narrativo, che si riaggancia - anch'esso - a una tradizione, quella del racconto orale ricco di suggestioni e di metafore, di consigli generazionali e di favolose parabole intorno al calore di un focolare.Collocabile in una geografia che prende le mosse dai poemi ariosteschi e percorre i secoli per approdare ai Guizzardi di Celati e ai lunatici di Cavazzoni, passando per le cadenze moraleggianti di un Collodi o la grassa, amichevole quotidianità festosa di un Guareschi, Guido Conti ha finora dato in pasto ai lettori tre romanzi e due raccolte di racconti. In ognuno di questi lavori il colore dell'inchiostro personalizzato è riconoscibile, e questo potrebbe già costituire un timbro di garanzia. E poi i panorami - solari ma anche pesantemente umidi, campestri ma anche gravidi di sofferta "padanità" da cappio al collo - e i personaggi - eccessivi, straripanti, spesso debordanti in una mostruosità quasi antropologica - si ritrovano a gareggiare, da un libro all'altro, per imporre una loro etichetta di origine garantita a salvaguardia dello sfavillante autore. Senza riferimenti topografici precisi e nominati, Conti riesce a ricrearci dentro la sensazione di un'appartenenza ancestrale ai luoghi narrativi, dove la pianura, il fiume, le cascine, la collina e i campi diventano geografia dell'anima e fanno pensare a un immenso circo sotto le stelle, in cui i protagonisti possono essere infiniti e tutti originali, pronti a saltar fuori da un'ispirazione illimitata perché ricca di risorse territoriali e fantastiche.
Nato a Parma nel 1965, Conti esordisce nel terzo volume della serie "Under 25", Papergang. Finora ci par di rilevare che la sua misura ideale sia quella del racconto: Il coccodrillo sull'altare, del 1998, rappresenta un felice ritorno all'accademia della fiaba colorata di tinte alla moda, in cui però il rispetto delle tradizioni riesce a fondersi con una genuinità espressiva ricca di istinto e di passione. In attesa di un possibile grande romanzo padano che riesca magari a raccogliere tutte le suggestioni lasciate a lievitare dai fasti dell'Ariosto fino ai colori mitici di Fellini e alle rimembranze favolose del miglior Pupi Avati, dobbiamo rilevare che i romanzi finora pubblicati da Conti hanno il passo un po' forzato del racconto dilatato oltremisura.
Questo Il taglio della lingua si presenta come un incerto corollario di molti luoghi comuni della narrativa fantastica o della tradizione fiabesca: il personaggio narrante, che nasce con l'ingombrante bagaglio di una chilometrica lingua con la quale frusta l'ostile mondo che lo attornia, è pronipote di tanti orfani infelici del romanzo d'appendice, con una puntatina nelle rimembranze di celluloide degli elephant men e dei freaks. Il suo percorso risulta quindi poco godibile perché previsto e preventivabile nelle singole tappe: dal rifiuto ostinato di un padre che impazzirà dalla vergogna, alla fuga da una ignoranza popolare che lo dileggia e lo allontana; dal rapimento con conseguente prigionia tra le sbarre di un circo che lo esibisce come fenomeno, all'incontro con una giovane prostituta che lo cura almeno fino alla catastrofe della logica gelosia d'amore di chi non conoscerà mai l'amore, fino all'epilogo - trent'anni dopo - in cui da un ospedale-ricovero di umane mostruosità il nostro racconta la sua tribolata odissea, quasi al sicuro tra schiere di creature uscite male dalla catena di montaggio della creazione.
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