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Nato nel 1897 a Montmartre, il Teatro del Grand Guignol sdoganò definitivamente sulla scena la violenza, l'orrore, la miseria psicofisica di uomini e donne obnubilati dal furore della vendetta o da altre torbide dinamiche tendenti verso un unico esito: l'assassinio. Il suo fondatore, Oscar Méténier, già collaboratore di André Antoine ed ex segretario di un commissario di polizia, intendeva rappresentare le atmosfere fosche che avvolgevano i faits divers, episodi di cronaca nera piuttosto frequenti nel celebre quartiere parigino, allora popolato da un universo metropolitano vario e in parte derelitto. In una prospettiva non molto distante dalla poetica naturalistica del Théâtre Libre di André Antoine, Méténier inaugurò un genere destinato ad avere ampia fama, specie quando virò verso una più marcata e macabra connotazione dell'orrore per opera del drammaturgo André de Lorde. Ma il fascino del Grand Guignol parigino, attivo fino al 1962, resta legato alle suggestioni che il clima bohémien di Montmartre sovrappose al repertorio del teatro, creando una mistura di aneddoti curiosi e dati concreti in cui è spesso difficile separare la verità storica dalla leggenda; al di fuori di Parigi, invece, non poté riproporsi una relazione così forte tra il contesto e il teatro del frisson.
E tantomeno in Italia, dove il genere fu importato nel 1908 da Alfredo Sainati e trasferito nei meccanismi produttivi di una compagnia nomade. Figlio d'arte e attore mediocre (recitò per alcuni anni nella compagnia di Zacconi), Sainati, insieme con la moglie, Bella Starace, si calò nei panni di impresario e capocomico per ragioni che in buona parte esulavano dal valore estetico, anche di rottura rispetto alla tradizione italiana, del teatro dell'orrore; egli aveva infatti intuito il fascino che il Grand Guignol, con il suo popolo di reietti e il sangue dei suoi morti ammazzati, poteva esercitare sul pubblico. E vinse la scommessa, se si pensa che la compagnia rimase attiva fino alla sua morte, nel 1936.
Ripercorrendo la vicenda biografica e artistica di Sainati, Teatro sinistro ha il merito di tracciare la storia del Grand Guignol nostrano attraverso un "recupero del rimosso", dato che il giudizio largamente negativo che la critica coeva espresse su di esso (anche tramite l'autorevole voce di Silvio d'Amico) lo condannò all'indifferenza storiografica. Considerato un teatro d'effetto per attori dozzinali (come spesso Sainati era ritenuto), si sono a lungo ignorati i suoi meccanismi votati a produrre ad arte una dialettica tra suspense e terrore (non lontana dalle successive tecniche del maestro del brivido cinematografico Hitchcock), condensata il più delle volte nella brevità dell'atto unico, nonché alla creazione di immagini forti atte a "scombussolare il sistema nervoso" (Gramsci) dello spettatore facendo leva sulla loro capacità di "attrazione" (similmente a quanto teorizzò Ėjzentejn); aspetti, questi, che il libro analizza in dettaglio.
Intenta a definire il genere, sottolineare differenze dall'omologo parigino e rinvenirne debiti e influenze, l'autrice pare talvolta perdere di vista il discorso specifico su Sainati e il Grand Guignol italiano, ma in realtà le appendici conclusive, seppur in forma poco accattivante per il lettore, raccolgono cronologicamente tutte le informazioni in merito e ricostruiscono una parte consistente del repertorio granguignolesco nostrano, palesando l'encomiabile lavoro di ricerca che è alla base del volume.
Leonardo Battisti
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