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Alle due canoniche divinità del tempo, Crono e Kairos, Harald Weinrich ne aggiunge una terza, rigida e non sempre clemente: il dio Terminus. Pronto a indicare un limite, questo nume tutelare ha il ruolo di interrompere il flusso regolare e continuo del tempo sezionando la sua uniformità in una tirannica successione di scadenze. L'urgenza di segnalare la presenza del limite come luogo ulteriore di riflessione sul tema si coniuga assai bene, nell'itinerario intrapreso dallo studioso tedesco, con la volontà di ripensare a distanza di anni problemi già meditati in precedenti contesti, a partire ovviamente dal celebre Tempus, il volume che nel 1964 metteva linguisti e letterati per la prima volta a confronto in maniera organica con il problema dell'uso delle forme temporali nella narrazione.
Adesso, nel nuovo studio dedicato all'argomento, Weinrich è riuscito a fare dialogare discipline e punti di vista lontani fra loro, ma in grado, grazie all'onnipresente attenzione al linguaggio (Tempus è dedicato alla memoria del grande studioso di retorica Heinrich Lausberg) di raccogliere molti saperi. Ciò avviene grazie alla capacità di partire da elementi minimi, propri di ogni analisi linguistica, rintracciati all'interno di un'esperienza dei testi che diventano terreni privilegiati di interazione. In base a essi si tessono trame con fili di diversi colori, mantenendo costante l'intreccio intorno a una singola tonalità. Così, nel caso del "tempo che stringe", secondo la traduzione italiana del titolo, il concetto di tempo migra di continuo tra filosofia, antropologia, medicina, letteratura ed economia, rendendo esplicito come non si tratti mai di una dimensione né semplicemente lineare né miticamente circolare, ma di un oggetto permanente nella riflessione e nell'esperienza dell'individuo, incline oggi più che mai a rivelare la propria identità a termine.
Se all'orizzonte dei moderni sembra perciò visibile solo un tempo provvisorio che rinnega la durata in ossequio alla contingenza dell'agire, Weinrich è pronto a rintracciare l'antica tradizione di questa connotazione parziale, che declina la forza del limite, prendendo avvio dalla sentenza di origine greca, breve è la vita, lunga è l'arte, presente nel Corpus Hippocraticum. Dalle due misure messe a confronto scaturisce il topos della brevità della vita, che si concretizza di volta in volta in opposti desideri: rinviare la fine e procrastinare il termine o apprezzare immensamente quel valore, concesso solo per poco, un tempo ridotto nelle sue prospettive di futuro. Da qui le massime che chiunque conosce, come il tempo è denaro mutuato da Seneca colui che per primo ha suggerito il paragone con la moneta contante e promosso poi al rango di affermazione universale da Benjamin Franklin. Rapidamente la ricerca sul valore del tempo si trasforma così, partendo da modi di dire e pensare noti a chiunque, in un'avvincente avventura fra connessioni inusitate, volte a sondare la dimensione valutativa del tempo, bene prezioso quanti altri mai, che appartiene all'economia tutta particolare della vita umana. Solo nel segno della magia è possibile, come sa Faust, operare scambi e mercanteggiarne il valore per tentare inutilmente di sfuggire alla legge immutabile dell'umano limite.
Il dettato della brevità e della carenza induce piuttosto ad aumentare il ritmo velocizzando lo spazio di un'azione, come avviene nel film di Tom Tykwer Lola corre, preso da Weinrich a testimonianza di quella pressione esercitata dal tempo che finisce qui per divenire identico al mero reiterarsi del gesto della corsa, pronto da parte sua a ribadire l'equivalenza fra tempo e denaro. In questo modo Weinrich ribadisce la propria adesione a un pensiero del tempo "puro", più vicino certo a Bergson che all'assunto spaziale di Aristotele, per segnalare come anche nel pensiero di Heidegger sia possibile scorgere quell'assunto esistenziale che conferma l'utilità di meditare sulla scarsità del tempo. Il confronto con il senso onnipresente del limite, appartenente all'idea stessa di misurazione, induce Weinrich a riprendere il filo degli inizi: la parola tempus ricompare in una finale indagine lessicologica che rintraccia legami fra il corpo e la mente, lo scandire delle ore e il battito del polso. Concentrare l'attenzione su singole parole significa ricostruire rimandi che il pensiero raccoglie e il lessico produce, a partire proprio dal termine tedesco knapp presente nel titolo originale (Knappe Zeit) e così poco traducibile che si è scelto di commutarlo in una parafrasi in grado di renderne con efficacia il senso.
Il dialogo con il lettore italiano (che non potrà confrontarsi con alcune parti del libro destinate solo a chi può consultare il testo tedesco) è invece privilegiato fino a una vera e propria riformulazione del testo, lì dove la legislazione italiana è citata in luogo di quella tedesca per esemplificare come anche qui il tempo funzioni quale misura essenziale dell'acquisizione di diritti e doveri nel caso di contratti di lavoro che vedono sempre più aumentare la loro limitazione. La vita quotidiana non può infatti essere espulsa da una riflessione che parte dall'esperienza di ognuno, perché ognuno si confronta con la giovinezza e la vecchiaia, con la malattia e la salute, con il tempo che passa, corre e va via fino a segnare la conclusione, costretti come si è tutti a fare i conti con l'assenza di tempo e l'estremo confine della vita.
Gabriella Catalano
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