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A partire dalla più recente scoperta della storiografia vichiana (il rinvenimento, negli archivi vaticani, di una "pratica" sulla Scienza Nuova del 1725, aperta presso il Tribunale dell'Inquisizione), i primi due capitoli del libro ricostruiscono il cammino teorico che porta Vico a delineare i contorni della sua scienza sulla «comune natura delle nazioni», dall'impianto etico-metafisico del Diritto Universale a quello storico-antropologico del suo capolavoro, tra nuove, originali elaborazioni e esigenze di ortodossia religiosa, ora autentiche, ora meramente formali-prudenziali. Il terzo e il quarto capitolo testano questi risultati su due immagini particolari, variamente ricorrenti nella ricerca vichiana: quella dell'eroe, qui simbolicamente rappresentata dalla figura di «Bruto Maggiore», e quella del tiranno; l'intento è riportarne in luce le variazioni e le dinamiche sostanzialmente parallele, dalle iniziali sistemazioni, fondamentalmente imperniate sul primato della «morale» e della «sapienza», agli aggiustamenti finali, articolati sulle scansioni epocali della nuova scienza. Tra la barbarie e la tenerezza, punto di confluenza dell'intero percorso è la parte che dà il titolo a tutto il volume, nella quale l'autore esplora la dimensione della psicologia politica vichiana, una regione per lo più trascurata dalla letteratura secondaria. Sulla scorta di una sintetica ricostruzione dei tratti salienti delle «tre età» del «corso» delle nazioni, il capitolo conclusivo guarda al peculiare posizionamento di Vico nel pensiero filosofico-politico moderno: la sua filosofia appare così collocata all'insegna dell'idea di una superiorità e fin quasi di una teleologica necessità dell'«età degli uomini», che tuttavia di tale età non perde di vista le costitutive opacità, le stesse in virtù delle quali essa strutturalmente si mantiene nella linea di confine su cui continuamente si separano e si confondono la potenza e il tracollo, l'acme e la crisi.
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