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Scritto bene e probabilmente interessante sopratutto per chi cerca informazioni e considerazioni sull'argomento. Forse dovrei rileggerlo per apprezzare meglio, mi è sembrato comunque un libro serio e ben realizzato.
Analisi molto interessante sulla crisi finanziaria 2008/2010 e sulla successiva crisi del debito in Europa. Un punto di vista che indica nella debole governance europea, nonchè nell'ossessione per il pareggio di bilancio, i vincoli alla ripresa.
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La mancanza di solidarietà costringe i paesi più deboli a politiche fortemente restrittive che dovrebbero servire a migliorarne la competitività, al fine di far crescere le esportazioni e ridurre le importazioni. Si dice che occorrono riforme strutturali che facciano aumentare la produttività, rendendo più flessibili i contratti di lavoro, e facciano calare i costi salariali sia tagliando i contributi a carico delle imprese sia indebolendo la forza dei sindacati, anche per effetto dell'aumento della disoccupazione. Ma l'austerità imposta simultaneamente a tutti i paesi periferici quasi certamente impedisce che essi riescano ad aumentare la domanda estera in misura sufficiente a (più che) compensare la caduta di quella interna. La possibilità di uscire dalla crisi risulta poi ulteriormente indebolita se, come purtroppo accade, non si può contare sull'attuazione di politiche espansive da parte dei paesi non strangolati dal debito sovrano come la Germania che, invece di sostenere la domanda interna, continua a spingere le proprie esportazioni mostrandosi così del tutto indifferente alle necessità dei paesi del Sud Europa.
Le restrizioni imposte dal fiscal compact e dal patto di stabilità di certo non rappresentano la via per risolvere il problema della disoccupazione e della mancata crescita. La tesi antikeynesiana dell'austerità espansiva, predicata anche in Italia da qualche economista su televisione e giornali, è stata ormai completamente screditata da quello che è effettivamente capitato in Europa e altrove. L'austerità aumenta la povertà e distrugge politicamente l'Europa. Bisogna rinvigorire la democrazia che oggi è succube dei debiti che, in quanto nazionali e non protetti da una banca centrale, sono malamente esposti alla speculazione dei mercati. Occorre più solidarietà e maggiore responsabilità politica per cessare di "rimettersi ai mercati per disciplinare i governi piuttosto che alla democrazia per disciplinare i mercati". È "un sogno federalista ‒ dice Fitoussi. ‒ Sì e ancora sì". Ma è il sogno dei padri fondatori, l'unico capace di far superare all'Europa la crisi di disfacimento che sembra aver già politicamente iniziato a colpirla.
Anche al fine di rafforzare alcune delle precedenti argomentazioni, Fitoussi si occupa di sottolineare le manchevolezze dei nostri sistemi di misurazione. Ci si concentra sempre sul Pil come se fosse la misura di tutto ciò che ci interessa. Ma invece ci interessa in primo luogo il benessere della popolazione e la qualità della vita. Se la crescita del Pil aumenta le diseguaglianze, la povertà e l'insicurezza economica, aumenta il benessere del paese? E se deteriora altri aspetti importanti per il benessere della popolazione quali la salute, l'istruzione, il lavoro dignitoso, la partecipazione alla vita politica, i legami sociali, l'insicurezza personale, l'ambiente ecc.? Sono tutti aspetti considerati dalla Commissione per la misurazione della performance economica e del progresso sociale di cui Fitoussi ha fatto parte. La Commissione ha avanzato molte proposte per il miglioramento delle misurazioni e per dare un miglior orientamento alle politiche economiche. Nell'attuale contesto, però, Fitoussi si è potuto occupare soltanto di questioni relative alle politiche europee di austerità. In proposito ha sottolineato come quando in Europa si parla di sostenibilità economica si intende solo sostenibilità dei debiti pubblici, trascurando così di affrontare i problemi della sostenibilità sociale, politica, ambientale, oltre che economica in senso più completo. Da tutti questi punti di vista, le politiche di austerità, specialmente se attuate nei periodi di recessione, "non hanno alcuna possibilità di migliorare il benessere della popolazione".
Concludendo, si può osservare che Fitoussi ha acceso il proprio lampione per illuminare tutti i principali problemi che ormai da troppo tempo stanno affiggendo i nostri paesi. L'ha fatto con la profondità dello studioso capace di penetrare nell'analisi di problemi molto complessi, sviscerando aspetti economici, sociali e politici strettamente intrecciati e, nel contempo, con la maestria del comunicatore provetto che è capace di rendere comprensibili a tutti i lettori argomentazioni e ragionamenti tutt'altro che semplici. L'ha fatto con l'indignazione dell'osservatore che vede le gravi sofferenze inflitte alla parte più debole della popolazione non da un destino cinico e baro, ma principalmente dall'insipienza dei politici che non hanno il coraggio di cambiare strada, rimanendo invece succubi di screditate teorie economiche ultraliberiste che considerano gravemente nociva ogni utilizzazione di risorse pubbliche per ridurre la disoccupazione e per migliorare le condizioni di vita di coloro che la crisi colpisce in modo più severo. Indignazione anche per la mancanza di solidarietà e per l'egoismo miope e controproducente che prevale in Germania con l'effetto di mettere a repentaglio la già fragile solidità della costruzione europea, impedendole non solo di stimolare la ripresa ma, soprattutto, di superare il suo attuale deficit di democrazia e di federalismo. Dobbiamo nutrire la speranza che l'indignazione si diffonda in tutti i paesi così da far cessare la conduzione di politiche fallimentari per poter finalmente "porre fine alla sofferenza sociale", come Fitoussi auspica nel sottotitolo del suo bel libro.
Terenzio Cozzi
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