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Molto bello, anche se meno incisivo dei libri precedenti e forse troppo prolisso.
Stupefacente la capacità di Hein nel tratteggiare ed immedesimarsi nei personaggi rispettandone il clima del periodo. Era dai primi romanzi che non lo leggevo e devo dire che ho ritrovato le stesse capacità espressive che ricordavo
Recensioni
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La distanza, scrive Christoph Hein nel 1996, è l'unico atteggiamento possibile dell'intellettuale verso il potere. Tale distanza sembrava ultimamente compromessa dal chiassoso abbraccio con cui la Germania riunificata ha accolto l'ultimo romanzo di questo scrittore della ex Ddr, piuttosto critico rispetto al cambio di sistema avvenuto nel 1989. Ma leggendo Terra di conquista (Landnahme) la preoccupazione svanisce. Hein non ha scritto il tanto atteso romanzo sulla riunificazione tedesca. Ha invece ripreso uno dei temi che più gli stanno a cuore: l'adattamento forzato dell'umanità ai cambiamenti storici. Contro le virate e le pretese della politica, i personaggi di Hein tentano di stare a galla, se non di barare a tutto spiano, avendo ormai sperimentato che la grande antagonista la storia è da sempre priva di scrupoli.
Il protagonista Bernhard Haber è, come l'autore, profugo dalla Slesia e arriva nell'attuale Germania orientale nel dopoguerra. La storia, di stile asciutto, si compone di sette resoconti di personaggi del suo ambiente. Partendo dall'arrivo del ragazzetto di dieci anni in una cittadina sassone si arriva al suo successo verso la fine degli anni novanta.
Al centro c'è l'emarginazione del profugo. Con suo padre, un falegname mutilato, Haber è la penosa incarnazione dei disatri della guerra. Per lui la figlia del farmacista rimarrà irraggiungibile, salvo che proprio grazie a questo scacco il libro racconta anche, implicitamente, una grande storia d'amore. Sbeffeggiato dagli abitanti autoctoni, Haber agisce di conseguenza. Quando nella Ddr i contadini vengono spinti in massa nella gestione collettiva della terra, lui, che non ha trovato una patria né nella Slesia messa a ferro e fuoco né nella disastrata provincia sassone, parteggia alla rivolta contro la riforma socialista, ma più per rivalsa che per convinzione. La stessa costruzione del muro si converte per il giovane in affare privato, dato che prima ci guadagna, poi sabota la lucrosa impresa che organizza le fughe in Occidente. Intanto ha già accumulato abbastanza denaro nero da diventare proprietario della segheria più importante della città e membro di un club frequentato dai più importanti imprenditori locali. Certo, un ambiente simile non sarebbe dovuto esistere nel socialismo reale, e invece si afferma come gruppo di nicchia.
Dopo la fine della Ddr, Haber si muove agile nella Camera di commercio locale, organizzando l'annuale carnevale cittadino. Con notevole evidenza il romanzo mette in luce come grandi rivolgimenti storici sfiorino appena la vita di una piccola borghesia che cerca in ogni circostanza di spremere laddove possibile un proprio tornaconto personale.
Hein sceglie un registro stilistico drasticamente grigio anche per la descrizione della vita erotica di Bernhard. Con i suoi scandali il libro ricorda per certi versi Berlin Alexanderplatz di Döblin. Lo sguardo sui personaggi, anche quando sono ripugnanti, è sì disilluso, ma in fondo bonario se non quasi benevolo. Non è questo un romanzo brillante, ma è preciso in modo inquietante è unheimlich, come direbbe Freud. Perché questi sono i personaggi del dopoguerra tedesco, immorali ma capaci, con qualche slancio, qualche ambizione positiva che tuttavia non riescono a realizzare. E così si riproducono infelicità e ingiustizia. Fino a oggi: dall'emarginazione del profugo scaturisce, una generazione dopo, la xenofobia degli anni novanta. Il parallelismo è chiaro. Hein risponde così, avvalendosi dell'esperienza storica tedesca, all'attesa di un romanzo sulla Wende. La svolta del 1989-90 è infatti, nella prospettiva del romanzo, un nuovo caso di migrazione, questa volta interna, e di frantumazione politica. L'attualità della biografia di Bernhard Haber è palese. Come il giovane profugo slesiano è spaesato nella provincia tedesca che invece di accoglierlo lo respinge, così non si sentono accettati a pieno titolo, se non addirittura colonizzati, molti cittadini della ex Ddr nella Germania riunificata. Anche chi resta sul posto, in casa propria, può alla lunga sentirsi estraneo. Nell'aspro vento della storia, Landnahme "terra occupata" può significare migrazione.
Justus Fetscher
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