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Territorio dell'urbanistica. Il progetto come produttore di conoscenza - Paola Viganò - copertina
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Territorio dell'urbanistica. Il progetto come produttore di conoscenza - Paola Viganò - copertina
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2010
14 giugno 2010
9788860490773

Voce della critica

Nel quinto volume dell'Encyclopédie, Diderot così definisce l'eclettico: "L'eclettico è un filosofo che, calpestando il pregiudizio, l'antichità, il consenso universale (…) osa pensare in prima persona". Si potrebbe ammettere che l'autrice di I territori dell'urbanistica sia un'eclettica al di fuori dalla filosofia per il richiamo insistito alla propria esperienza e sua ragione, per la vasta conoscenza della storia urbanistica, per le frequentazioni di quelle discipline che trattano, in modo metaforico o letterale, del territorio e che fanno di questo libro una miniera di informazioni, di sapere, di meditazioni.
È impossibile fornire un resoconto completo della costruzione teorico-pratica, complessa quanto il suo oggetto: i territori dell'urbanistica. Il sottotitolo racchiude tutta la difficoltà dell'impresa: Il progetto come produttore di conoscenza. Ciò che l'autrice si propone è di esaminare i territori lasciati in eredità dalla storia delle città del XIX e XX secolo: spazi di conflitto tra città strutturata e periferie devastate; tra centri storici abbandonati o diventati disneylands abbellite a uso dei turisti; tra spazi agricoli e spazi urbanizzati diffusi e così via. Ma per esplorarli da architetto è necessario conoscerli attraverso multipli accessi e discipline. Non si tratta solo di un problema epistemologico, ma di questioni di ideologia, di visione e di progetto.
Nelle tre parti del libro (Territori concettuali, Territori della descrizione, Territori del futuro), Paola Viganò esplora gli strumenti del progetto come "forma specifica di interrogazione della realtà" nell'attuale universo economico e culturale che caratterizza la civiltà urbana contemporanea, e nel quale – in modo non inesorabile, scrive, ottimista, Paola Vigano – il ruolo dell'architetto diviene marginale. E, tuttavia, la conoscenza per il progetto e la conoscenza attraverso il progetto sono le due posture che soltanto l'architetto può assumere come non dissociabili. In questo senso il saggio di Viganò è al tempo stesso una riabilitazione del mestiere di architetto-urbanista, l'elogio della sua pratica che implica imparare a vedere ciò che esiste, capirlo e dunque progettare.
La descrizione, la conoscenza e la concettualizzazione si pongono come i tre termini dell'esperienza teorica di questo libro; si manifesta così il doppio statuto dell'architettura: la sua autonomia (in quanto lavoro con "i suoi elementi costitutivi interni") e la sua eteronomia (Viganò non utilizza questo termine, ma poco importa), in relazione con il mondo esterno: "il design, da un lato e le scienze, umane e dure, dall'altro". Intendendo il designcome espressione ideogrammatica (espressione di idee e di segni propri dell'architetto) per scrivere lo spazio. Questo libro induce a interrogarsi sul rapporto fra l'autonomia e l'eteronomia dell'architettura, sui passaggi continui dall'una all'altra, ma anche sugli slittamenti a volte pericolosi, se non si assume un equilibrio ragionato, una postura "politica" nel senso aristotelico del termine, tra l'una e l'altra. Non tutti gli approcci "meta-moderni" attuali si equivalgono e avremmo voluto trovare maggiori elementi critici su questo tema.
Ci sono termini che giocano un ruolo strategico per Paola Viganò.
Lo zooming. Si dovrà un giorno rivisitare l'infelice destino di questo vocabolo ancora in auge, rilevando anche l'ambiguità di questa discutibile pratica (dal Team X fino ai recenti tentativi dei Neutelings, Koolhaas, Mvrvd ecc.). Affermazioni di aree funzionali, coesistenza, eterogeneità, d'accordo; ma prima ci sono stati altri accostamenti, le cui origini possono essere collocate ai tempi di Gian Carlo De Carlo o della Tendenza: tempi meno sottomessi alle logiche dell'economia liberale.
L'isotropia. Concetto chiave in questo libro, di cui i geografi si sono impadroniti da tempo, sostenendo la necessaria riduzione delle discontinuità, per ridurre la cesura tra centro e periferia attraverso la ricerca del policentrismo, attraverso centri diffusi, per ottenere l'"equità territoriale" a partire dalle infrastrutture omogenee, il diritto alla mobilità, l'equa ripartizione dei servizi, ecc. Cose ben note d'altronde, sulle quali si discute dagli anni settanta in Francia e in Inghilterra e che fanno parte del rituale dei discorsi politici, che evitano spesso di affrontare la causa principale della frattura: le delocalizzazioni delle aziende, il disfacimento della cittadinanza in quanto statuto politico dell'abitante e, insomma, la distruzione della democrazia. Nel libro l'isotropia assume i valori di un'immagine spaziale – tutte le direzioni si distribuiscono in modo (tropos) uguale (isos) – e "come metafora, l'isotropia raggruppa inoltre varie forme generiche rappresentate sia nella realtà fisica, sia nelle letture ideali del territorio".
Il progetto. Paola Viganò rende costantemente esplicita la posizione che assegna al progetto, ricordando che la descrizione stessa costituisce già un progetto ("la descrizione come progetto") e che il progetto in se stesso descrive ("il progetto come descrizione"), restituendo alla parola "descrizione" il doppio carattere di pratica analitica e postura di progetto. Il libro ci invita dunque a superare l'illusione che si possa esaurire la conoscenza sullo spazio, illusione delle scienze del territorio di un altro secolo e di un'altra ideologia.
La porosità. Metterei in luce un altro termine caro a Paola Viganò e Bernardo Secchi: quello di "porosità", "termine complesso, denso di ambiguità, che tratta, simultaneamente, di questioni ecologiche, sociali ed economiche" ci avverte l'autrice. Nozione ambigua, poiché il "vivere insieme stesso" è una situazione sociale, culturale e civilizzatrice, ambigua da sempre e ancor più oggi, quando il multiculturalismo rischia di essere chiusura di ciascuna delle culture nello stesso territorio e non cosmopolitismo. L'Europa dei nostri giorni è l'esempio più flagrante di questa disaggregazione. Ma Viganò ci ricorda che la porosità è anche un termine operativo di interpretazione delle diverse densità del fenomeno urbano europeo e che conduce a una "nuova ecologia" e a una "coscienza politica locale".
Gli scenari. È dunque del tutto naturale che nella terza parte, i Territori del futuro, attraverso riferimenti a progetti reali, la nozione di "scenari" occupi uno spazio maggiore. Costruire scenari non è prevedere come sarà lo spazio nel futuro, ma elaborare prefigurazioni-verifiche delle situazioni e dei fenomeni possibili o probabili. "Questo non è un progetto". Lo scenario nell'interpretazione dell'architetto-urbanista non si limita a offrire una scelta di soluzioni alternative, ma costringe a valutare o apprezzare le conseguenze di ciascuna di esse. Aggiungerei, a una condizione: che l'architetto-urbanista sia accompagnato dagli attori politici e sociali, e che lo scenario sia inscritto nel tempo.
Per le sue affermazioni, I territori dell'urbanistica è degno di diventare argomento di dibattito e di polemiche – proprio la cosa che manca crudelmente oggi nella critica architettonica e urbanistica, perché tratta al tempo stesso di mondi non conciliabili, ma che senza sosta si incontrano: il materiale e l'immateriale, il concreto e l'astratto, l'ontologico e il fenomenologico, l'essere e la rappresentazione. In breve, il territorio e il progetto.
(Traduzione dal francese di Elide La Rosa).
Yannis Tsiomis

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