Testi segreti sono tre racconti, intimi e assoluti al tempo stesso. Intimi, perché, pur non essendo le pagine di un diario autobiografico, lasciano intravvedere come in filigrana le tracce di un vissuto, le cicatrici di antiche e più recenti passioni. Ecco allora che non è difficile riconoscere nell’uomo seduto nel corridoio Gérard Jarlot, l’«ultimo cliente della notte» con cui Duras condivise la follia di quelle giornate in riva alla Loira, in quel paese del nord dove si era recata per seppellire, senza dolore, il cadavere della madre. Così come quell’uomo atlantico ripreso dall’obiettivo della cinepresa ha le fattezze di Yann Andréa, «il bretone con gli occhi azzurri, pallido e dinoccolato, timido studente di filosofia soggetto a cicli depressivi» (Postorino), il giovane omosessuale che fu l’ultimo compagno e l’ultimo grande amore di Duras. Assoluti invece, perché partendo dalle rive della Loira o da Trouville si giunge fino a quella «falla improvvisa nella logica dell’universo» dove si consuma, come scrive Rosella Postorino, l’inaudito «scisma tra amore e desiderio», l’incontro «tra un uomo e una donna assoluti, che in assoluto mostrano lo scacco inevitabile di ogni rapporto». Una coppia, la coppia: l’uomo e la donna, personaggi – ma forse sarebbe più giusto chiamarli attori – senza nome, quasi degli archetipi che portano sui loro corpi i sintomi di quella malattia della morte che Duras stessa ha imparato a riconoscere in quella «strana inclinazione» del desiderio che condivise con Jarlot o nell’amore senza desiderio di Yann. Una malattia segreta che Duras ha saputo trarre dall’intimo di una vita e farla assurgere all’assoluto della letteratura. Un viaggio, come scrive sempre Postorino, «al confine del linguaggio». E dell’amore.
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