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Thomas Mann. La perfezione del nulla - Paola Capriolo - copertina
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Thomas Mann. La perfezione del nulla - Paola Capriolo - copertina
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2013
30 aprile 2013
9788873255260

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alida airaghi
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In una ventina di brevi capitoli, Paola Capriolo (questa riservata, sensibile, profonda e coltissima nostra scrittrice: troppo brava, forse, per ottenere fasti e riconoscimenti dal superficiale mondo letterario italiano), esplora la scrittura e il pensiero di Thomas Mann, "uno degli scrittori più audaci nell'audace secolo del Novecento": "Con la sua signorilità di patrizio lubecchese, con la strenua e magistrale misura di chi, mentre ne sorride, persegue e attinge una goethiana classicità, quest'uomo ha sfiorato abissi di fronte ai quali noi arretreremmo". L'abisso del nulla, ad esempio. Sfiorato e esorcizzato con distacco e ironia, "nella sua insondabile perfezione". Di cui Mann avvertì senz'altro il fascino, nutrito dai suoi maestri della "scuola del sospetto": Schopenhauer, Wagner, Nietzsche, Freud. Paola Capriolo ripercorre tutta la produzione manniana, dai Buddenbrook ai racconti minori, scandagliando però con più attenzione tre capolavori: La montagna incantata, La morte a Venezia, e Doctor Faustus. "Per tre volte, proprio come in una fiaba, Mann si è avventurato a descrivere una catabasi che ogni volta è nel tempo e fuori del tempo, nella storia e fuori della storia, che illustra vicissitudini e destino della cultura europea ma ha radici anche altrove, in una nostalgia più profonda, in una tentazione così radicata nell'animo umano da meritare, forse, il pericoloso titolo di 'universale'". Corpo e spirito, salute e malattia, amore e piacere, dionisiaco e apollineo, storia e mito: nella neve di Hans Castorp e nel mare di Gustav von Aschenbach, l'autrice scopre la stessa ingannevole "ebbrezza": "una sorta di respiro profondo, di improvvisa sospensione dell'essere...il ritorno almeno momentaneo a quell'Uno cui tende la nostalgia di chi si è smarrito nel molteplice".

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Voce della critica

  È un'eccezione, nel panorama della narrativa italiana, la consuetudine con la riflessione critica coltivata da Paola Capriolo, erede in questo di una tradizione letteraria che, almeno fino al Novecento, ha visto scrittori e poeti risvegliare nel proprio tempo, grazie a saggi più o meno occasionali, l'interesse per l'opera di scrittori e poeti venuti prima di loro. Come non ricordare le pagine che Heinrich Mann dedicò per esempio a Flaubert, dando così occasione a un vero e proprio culto dello scrittore francese tra l'avanguardia tedesca d'inizio secolo? E come dimenticare l'omaggio di suo fratello Thomas al realismo di Fontane e, in tempi più recenti, il ritratto di Robert Walser reinventato da W. G. Sebald? Nel solco di questa tradizione, dopo L'assoluto artificiale. Nichilismo e mondo dell'espressione nell'opera saggistica di Benn (Bompiani, 1996), dopo Rilke. Biografia di uno sguardo (Ananke, 2006), ecco Capriolo confrontarsi ora con colui che forse è stato fin qui il più assiduo fra gli interlocutori segreti della propria scrittura: Thomas Mann. A questo segreto dialogo, già venuto alla luce al tempo della bella traduzione di Morte a Venezia (Einaudi, 1991), e ancor prima nei racconti d'esordio della scrittrice, si deve forse la prosa adamantina di La perfezione del nulla, un singolare viaggio attraverso l'opera manniana, con lunghe soste fra le geografie di Morte a Venezia, La montagna incantata (o magica), Doctor Faustus: "Un verticale, serpentino spogliarsi della materia: dalle piane anseatiche, attraverso le ondulazioni collinari della Germania centrale e superate le rive del lago di Costanza, una brusca impennata ferroviaria conduce su, sempre più su, dove si immagina che soltanto le aquile possano nidificare, verso regioni rese ultraterrene dalla scarsità di ossigeno; a meno che, invece, il nostro viaggio non ci conduca a fendere l'immensa orizzontalità del mare, l'ascesi piatta, la sconfinata vertigine della superficie". Avvincente quanto l'esordio di un romanzo, l'inizio del saggio dischiude non soltanto l'ampia prospettiva entro la quale l'intelligenza critica condurrà il proprio itinerario, ma fin da principio presenta ciò che di questo viaggio è il risvolto speculativo. Perché qui ci si inoltra sicuramente fra le pagine di Thomas Mann, fra le sue contraddizioni e la sua ironia, ma l'avventurosa esplorazione, scandita dalle tappe di brevi capitoli, si spinge anche nelle latitudini di un pensiero nichilista dinanzi al quale la vita non trova alcun scampo: "Già, la vita… Ma ora non più quella affermativa, krögeriana: nel frattempo siamo stati ospiti del sanatorio Berghof e abbiamo appreso qualcosa di più. A questo idolo degli esangui intellettuali di fine e inizio secolo abbiamo imparato ad applicare le procedure d'osservazione dettate dalla scuola del sospetto (…) Se la vita è un'impurità della materia, la materia è un'impurità dell'essere e l'essere, bisogna pur convincersene, un'impurità del nulla". Al pari di Mann che, almeno fino a La montagna incantata, scelse la finzione narrativa del viaggio per mettere letteralmente in moto un'idea o un'ipotesi che, lungo il cammino, si sarebbe scontrata con le insidie dell'ironia, Capriolo ricorre a quella medesima struttura per esplorare, al di là dell'antitesi spirito-vita alla quale la ricezione critica ha spesso ricondotto il pensiero dello scrittore, l'immane sfondo nichilista sul quale svettano le alture del sanatorio Berghof, sprofondano gli inferni di Aschenbach e si raggela la diabolica flora di Adrian Leverkühn. Così, mentre il lettore, viaggiando da un romanzo all'altro, scopre singolari corrispondenze fra il destino del vecchio artista a Venezia e del giovane ingegnere in montagna, e intanto si lascia sedurre da una scrittura quanto mai suasiva nell'evocare paesaggi di ghiacci e di febbri, la verticalità delle vette e l'orizzontalità del mare evocate all'inizio del saggio si rivelano progressivamente, al di là della contrapposizione, allegoria di quel che per Mann è sempre stato l'essenza dell'arte, "di ogni arte, non solo di quella moderna e problematica incarnata dalla figura di Adrian Leverkühn, anche se è vero che la modernità lo lascia emergere per la prima volta in piena luce": il nichilismo. Di fronte a tanta conoscenza dei recessi da cui la scrittura manniana trae il proprio magistero formale, il lettore non mancherà di chiedersi fino a che punto questo libro sulla "perfezione del nulla" non sia un vis-à-vis, prima ancora che con il Mago, con un tacito convincimento della scrittrice. Forte è il sospetto che le maschere grazie alle quali Mann non ha mai cessato di nutrire la propria arte con la propria vita diventino in queste pagine un'ulteriore maschera dietro la quale Capriolo si confronta con l'impervia questione sul senso dell'arte e della vita.   Amelia Valtolina        

 

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Conosci l'autore

Paola Capriolo

1962, Milano

Paola Capriolo è nata a Milano nel 1962. Collabora alle pagine culturali del «Corriere della Sera» e svolge attività di traduttrice, soprattutto dal tedesco. Tra i suoi libri: La grande Eulalia (Feltrinelli, 1988), Il doppio regno (Bompiani, 1991), La spettatrice (Bompiani, 1995), Una di loro (Bompiani, 2001), Qualcosa nella notte (Mondadori, 2003) e Una luce nerissima (Mondadori, 2005). A lei sono dedicati vari saggi e monografie. Nel 2012 è uscito per Bompiani, Caino.Da anni si dedica con passione alla narrativa per ragazzi, affrontando per i giovani lettori i temi più scottanti dell’attualità e della storiarecente. Con le Edizioni EL ha pubblicato tra gli altri No (2010), Io come te (2011), L’ordine delle cose (2013) e Partigiano...

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