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Le prime foto di Thomas Struth, datate tra la fine degli anni settanta e i primi ottanta, non lasciano presagire i grandissimi formati, le narrazioni cosmopolite, la ricercata eleganza di stampa che hanno in seguito reso celebre l'artista. Allievo dei coniugi Becher all'Accademia di Belle Arti di Düsseldorf, Struth predilige luoghi semplici e collettivi, periferie urbane, caseggiati operai. Si orienta a uno stile impersonale secondo l'insegnamento ricevuto, un bianco e nero funzionale, formati contenuti, perfino intimi. Indaga il vernacolo architettonico contemporaneo che gli è più familiare, quello dei quartieri-dormitorio delle grandi città renane, dell'edilizia popolare socialdemocratica. Lo sguardo non è neutro: rifugge dal lusso e dall'ornamento. Sullo sfondo, dissimulata dall'attitudine documentaria, la sommessa epica sociale della ricostruzione tedesca. L'austerità degli esordi cede a una propensione grandiosa più o meno in corrispondenza con il soggiorno italiano, a Napoli e a Roma, che si rivela determinante per Struth: vertigini archeologiche non mancano di colpirlo mentre osserva Napoli misurandone la complessità urbanistica e cogliendo, negli strati architettonici, nei paesaggi di casa su casa, la compresenza di epoche e civiltà. Le grandi immagini partenopee del 1988-1989 si rivelano "capricci" per temi e scelte compositive: piccole figure segretamente anacoretiche (i "restauratori") posano in spazi antichissimi, immensi e vuoti, o in chiese barocche ornate di ex voto e statue di santi. Il confronto con la pittura si impone insieme a un inedito desiderio di eloquenza. La fotografia del Pantheon affollato di turisti, scattata a Roma nel 1990, è la più piranesiana della serie italiana: la vastità dell'enorme volta sovrasta le comitive di visitatori, moderni pellegrini, procurando una sottile inquietudine. Nel corso degli anni novanta le narrazioni si fanno globali e Struth scatta non di rado in Asia (ma pure negli Stati Uniti o in Australia). Si sofferma sulle trasformazioni delle città e del paesaggio, sugli enigmi dell'attenzione, sul desiderio edenico suscitato dalla natura. Soggioganti per dimensioni, le immagini confermano lo status di global player conseguito dall'artista. A tratti si è però come sfiorati dal sospetto di un'impeccabile routine. Il volume è il catalogo della mostra al madre di Napoli (gennaio-aprile 2008). Michele Dantini
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