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Il formato “pocket”, o tascabile, rende questa edizione della Torah (1962/1999) molto maneggevole e facilmente trasportabile, senza nulla togliere alla leggibilità della sua pagina e alla robustezza del libro. I caratteri, infatti, non sono eccessivamente piccoli, e la copertina di carta lucida resiste bene all’uso, e anche alla lettura quotidiana. Ottima la traduzione in inglese, arricchita di note a piè di pagina che riportano alla parola ebraica e rendono ragione della scelta interpretativa. A questo Pentateuco, inoltre, è anteposto un utile prospetto (“Table of Scriptural Readings”) che per ognuno dei cinque libri biblici indica in ebraico, con accanto la traslitterazione latina, l’argomento trattato dai corrispettivi versetti. Dividendo implicitamente il testo sacro in varie pericopi o ‘parashot’, secondo la scansione delle letture settimanali. Faccio un esempio. Quando nella “Genesi”, al versetto 18,1, si parla dell’incontro, presso il terebinto di Mamre, di Abramo con tre misteriosi viandanti, cui egli apre la sua casa, nella tavola prospettica ci viene indicata la parola ebraica «וַיֵּרָא/va-yera’» (18.1 – 22.24): “e apparve…”: richiamandoci alla mente questo noto episodio di filossenia, di amicizia per lo straniero, immortalato, in ambito ortodosso, dall’icona di Andrej Rublëv. La prefazione, infine, racconta un poco le scelte linguistiche operate dai traduttori con l’intento di rendere non solo l’ombra del significato ma pure la sua forza espressiva – come l’estrema flessibilità nel tradurre la congiunzione «waw», la «e» ebraica –, e la storia delle traduzioni della Torah, ricordando come all’epoca di Rav Saadia Gaon, il X secolo, non esistesse la divisione, cui abbiamo accennato, in capitoli e nemmeno in versetti ed egli pur essendo un brillante studioso della Bibbia non fece nessuna attenzione a questo aspetto. Tuttavia, la sua capacità di enucleare le unità logiche del testo masoretico resta a tutt’oggi un fulgido esempio da seguire.
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