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Anno edizione: 2006
Anno edizione: 2004
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Paolo Sylos Labini ci riprova e torna a proporre ragionamenti di buon senso (cosa rara nel mondo degli economisti) sperando che divengano senso comune. In questo libro divulgativo e insieme preciso, attento all'attualità a partire da una lettura originale di autori passati, tutte le principali categorie economiche sono rilette e ridefinite: produttività, concorrenza, mercato, occupazione, prezzi, salari, profitti, debiti, disavanzi, innovazioni; soprattutto le innovazioni intese in ampia accezione come motore dello sviluppo. ... «Crescono, a ondate successive, i profitti e ciò provoca ondate speculative in borsa, che hanno l'epicentro proprio nelle innovazioni». Il boom americano tra 1992 e il 2001 si è principalmente tradotto in stipendi molto elevati (premi e azioni gratuite) che i dirigenti di varie grandi imprese oligopolistiche si sono assegnati. Un effetto caratteristico di un sistema economico in cui il progresso tecnico è controllato da un mercato oligopolistico (la grande idea di Oligopolio e progresso tecnico che rese celebre Sylos negli States già nel 1956). Ma quando il mare si calma «affiorano gli scogli e vengono più facilmente alla luce gli imbrogli»; restano soprattutto i debiti, che diventano un problema quando la crescita rallenta ... Dietro queste indicazioni di policy frutto di saggezza rivoluzionaria (sebbene Sylos ami definirsi un rivoluzionario liberale) stanno i nessi logico causali dei grandi classici dell'economia politica: l'amato Smith, il Ricardo di On machinery, lo scomodo Marx, il Marshall dei distretti industriali, Schumpeter, Sraffa e il Keynes del lungo periodo. ...Il senso della produttività sta nelle innovazioni, e tra queste Sylos comprende la civiltà: il nesso fra sviluppo economico e sviluppo civile è stretto. Lo sviluppo economico senza lo sviluppo civile genera tragedie. Occorre un'agenda per sostenere la ricerca (e la cultura), per difendere l'ambiente e per combattere la miseria (e l'ignoranza).
Recensioni
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Paolo Sylos Labini ha scritto un altro libro importante. Come nessuno poteva dubitare, conoscendo la sua opera e la sua passione civile, si tratta di un libro critico, anzi provocatorio. Nello stesso tempo, e cosa che non sempre si accompagna alla critica e alla provocazione intellettuale, è un libro molto costruttivo, ricco di idee e spunti fecondi (si vedano, per esempio, le pagine sulle prospettive dell'economia americana). Anche per questa ragione, non è certo possibile esporne compiutamente il contenuto in poche pagine. Il messaggio fondamentale è tuttavia chiarissimo, riassunto peraltro già nel titolo stesso: secondo Sylos, bisogna "tornare ai classici", cioè ad Adam Smith e Ricardo, ma anche per certi aspetti a Marx. Ecco la provocazione: perché dovremmo, e come è possibile, ritornare a economisti morti e defunti da ben più di un secolo, se non addirittura due? Forse che, da allora, il pensiero economico non è progredito? È evidente che una proposta così radicale come quella di Sylos implica un giudizio e una valutazione sullo stato attuale del pensiero economico, nonché sulla sua storia. Ed è allora da qui che dobbiamo partire.
Come è noto, oggi in economia domina, quasi del tutto incontrastata - Sylos è appunto una delle pochissime voci del tutto discordi -, la teoria neoclassica, nella versione cosiddetta mainstream : cioè, un'impostazione e un insieme di proposizioni che raccolgono il consenso della stragrande maggioranza sia degli economisti sia dei policy makers , e financo dell'opinione pubblica. Questo mainstream è contenuto ed espresso soprattutto nei manuali di economia che, non a caso, sono significativamente tutti americani, molto simili tra loro e, tradotti nelle principali lingue, ormai diffusi in tutto il mondo, occidentale e non. Sono manuali scritti da economisti famosi e influenti. Per fare solo alcuni nomi: Samuelson (premio Nobel e allievo, come Sylos, di Schumpeter), Stiglitz (premio Nobel, presidente del comitato dei consiglieri economici di Clinton, ex vicepresidente della Banca mondiale), Mankiw (appena dimessosi da presidente del comitato dei consiglieri economici di Bush), Bernanke (appena nominato da Bush presidente del medesimo comitato, al posto di Mankiw), Krugman (feroce critico di Bush e delle sue politiche, anche dalle autorevoli pagine del "New York Times", nonché, in Italia, della "Repubblica").
Divisi, e magari anche aspramente, sul piano politico, questi economisti condividono comunque un metodo scientifico e alcuni principi e strumenti teorici. In estrema sintesi: per gli economisti neoclassici appartenenti al mainstream è scientifica solo una spiegazione che muova dall'analisi del comportamento dei singoli individui, raggruppati in due grandi categorie: i consumatori e i produttori. Gli uni e gli altri sono considerati come soggetti che "massimizzano" il loro obiettivo: i consumatori l'utilità, i produttori il profitto. Sulla base di ciò, ovvero delle scelte individuali rispettivamente di consumo e di produzione, la teoria neoclassica costruisce delle "curve", rispettivamente di domanda e di offerta, il cui incrocio determina la configurazione di equilibrio del mercato: cioè, quella coppia di prezzo e quantità, in corrispondenza della quale ogni singolo soggetto che partecipi al mercato, dati i propri gusti e la propria ricchezza e date le tecniche produttive esistenti, domanda e offre esattamente quella quantità di merci che desidera, al prezzo di mercato, domandare o offrire. Come ipotesi generale, la teoria neoclassica assume e pertanto dà assoluta centralità al modello della concorrenza perfetta: nel mercato, prezzo e quantità di equilibrio non dipendono dal potere di mercato dei soggetti, che infatti non ne hanno alcuno, ma vengono determinati dalle forze, appunto impersonali e contrapposte, della domanda e dell'offerta di mercato, cioè dalla fondamentale e cosiddetta "legge" della domanda e dell'offerta.
Ebbene, Sylos critica e contesta radicalmente tale costruzione teorica, sia sotto il profilo logico-analitico sia sotto quello empirico. Nello stesso tempo, Sylos propone un differente approccio economico e differenti strumenti analitici. Ovviamente, non è qui possibile se non toccare alcuni punti principali. In primo luogo, e dal punto di vista più generale, Sylos mostra lucidamente come, se lo scopo dell'economista è quello di spiegare il capitalismo, che è una realtà in continuo divenire e trasformazione, non si tratti tanto di individuare i punti di equilibrio dei prezzi e delle quantità prodotte e scambiate nei mercati, come abbiamo appena visto fare alla teoria neoclassica, quanto piuttosto e soprattutto di dar conto dei fenomeni dello sviluppo e della produttività: "produttività del lavoro, progresso tecnico e sviluppo economico" sono, ricordiamo, il sottotitolo del libro. Nei termini di Sylos, si deve abbandonare l'approccio statico degli economisti neoclassici per riprendere l'approccio dinamico dei classici (e di Schumpeter).
In secondo luogo, le curve dei costi e quindi di offerta "di lungo periodo" costruite dai neoclassici sono teoricamente del tutto infondate, come peraltro aveva già dimostrato Piero Sraffa nei più lontani 1925 e 1926 (cosa che naturalmente Sylos non manca di richiamare). Dice Sylos: "La stessa distinzione fra curva di offerta di lungo e di breve periodo, che si trova in buona parte dei manuali di economia, è un'aberrazione: il tempo non c'entra".
In terzo luogo, la forma di mercato più corrispondente alla realtà non è certo la concorrenza perfetta come la intendono i neoclassici, ossia una concorrenza statica e caratterizzata da un gran numero di "piccole" imprese, ciascuna delle quali ottiene il medesimo profitto. La forma di mercato prevalente nelle economie moderne e contemporanee è invece l'oligopolio (su cui, non a caso, Sylos aveva scritto un libro fondamentale nel 1956, quello che gli diede la fama mondiale). E le forme di concorrenza che contano sono altre, cioè quelle che determinano innovazioni: nuove tecniche produttive, nuovi prodotti, nuovi mercati, o addirittura l'eliminazione di mercati esistenti. Per esempio, Sylos mostra in modo chiarissimo come l'introduzione delle automobili e degli aerei abbia provocato, a partire dal 1920, un declino inarrestabile delle ferrovie.
In quarto (e ultimo) luogo, quanto alla formazione dei prezzi delle merci, al posto della neoclassica "forbice marshalliana", cioè di una determinazione dei prezzi sulla base della legge della domanda e dell'offerta, Sylos propone il molto più semplice e ragionevole criterio del "costo pieno": le imprese (prevalentemente oligopoli, come si è visto) stabiliscono il prezzo aggiungendo ai costi di produzione (in particolare, al costo unitario del lavoro) un margine proporzionale tale da coprire i costi fissi e garantire il profitto d'impresa.
Ma se le cose stanno così come ce le presenta convincentemente Sylos, non un "giovane turco" ma un economista illustre e noto in tutto il mondo, come mai il pensiero economico moderno ha abbandonato i classici e intrapreso una strada così fuorviante? Come mai la stragrande maggioranza degli economisti contemporanei si affidano "con un atto di fede" a una teoria piena zeppa di "contorsioni", se non semplicemente erronea? A dire il vero, e come peraltro lo stesso Sylos richiama più volte, nel Novecento ci sono state tre notevolissime eccezioni: Schumpeter, Sraffa, Keynes. Ma, appunto, si è trattato di tre eccezioni: il pensiero economico contemporaneo non ne tiene pressoché alcun conto. Come si spiega ciò? O, in altri termini, come si spiega che, in economia, di fronte alla dimostrazione dell'incoerenza logica di un argomento o della sua irrilevanza empirica, la risposta sia la non risposta, il far finta di nulla? Oppure, il dire: "Sì, d'accordo, ma supponiamo comunque che..." (e si continua a fare, e insegnare, l'ipotesi dimostrata errata). A mio giudizio, questa è la questione fondamentale che il libro di Sylos pone, e che va presa sul serio e seriamente dibattuta.
Fabio Ranchetti
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