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Il romanzo di Jean-Claude Derey è un'immersione nell'ordinario inferno della vita africana compiuta con gli occhi di un bambino, il dodicenne Hondo, protagonista (e voce narrante) di un susseguirsi di avventurose e drammatiche vicende, testimonianti la devastazione di un intero continente. In fuga da un crimine mai commesso, e incerto se tener fede a promesse e giuramenti di fedeltà o se tentare la fuga verso più fortunate zone del mondo, Hondo sperimenta i tanti soprusi commessi dai toubab (i bianchi ricchi) e dai loro più o meno convinti complici (funzionari corrotti, poliziotti sanguinari, mercanti arricchiti senza scrupoli) e le insostenibili condizioni di vita di tutti gli altri, le immense moltitudini dei senza diritti; rivestendo tutto con lo stupore e la meraviglia del bambino, con la sua infinita fantasia, con la capacità di guardare con candida leggerezza persino i più crudi dettagli. Risorse preziose nello sfacelo africano, e tuttavia deperibili più che altrove. In Africa, infatti, si cresce in fretta e le armi dell'infanzia soccombono rapidamente, ci ricorda Derey, con le parole di Hondo, in una delle pagine finali, perfetta rappresentazione della condizione del continente: "Dicono che sono diventato rabbioso. Addirittura pericoloso. Io so che come al solito si sbagliano, in fondo sono buono come un agnellino, ma bisogna cercarlo molto, quest'agnellino, perché ha troppa paura del mondo e se ne sta ben nascosto". Lontanissimo tanto dai toni coinvolgenti della letteratura di denuncia quanto dall'asciutto rigore del reportage, Derey descrive e racconta una porzione esemplare della realtà africana, riuscendo a disarmare in anticipo il cinismo e le chiusure difensive del lettore occidentale, generalmente tanto informato sul quadro generale quanto indisponibile a una conoscenza ravvicinata e, quindi, a un effettivo coinvolgimento.
Alessio Gagliardi
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