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Chi unisce alla lontananza di tuo padre? Chi sa che in quel sorriso ai nostri figli cerchi gli occhi di un figlio che non hai mai avuto? E ogni notte in un lenzuolo di ricordi anneghi il tuo dormire, non vorresti più svegliarti meglio morire un’altra volta. Da “Uomo solo” Non a caso ho messo questi versi, che sono parte di una poesia di Giuseppe Iannascoli; ripeto che non è a caso, perché mi sembra che rappresentino adeguatamente sia il modo di poetare di questo autore, sia il riflesso di quanto è presente nel suo animo. Se è vero che un poeta finisce anche con il rappresentare i problemi esistenziali del mondo, Iannascoli ne è un tipico esempio. Nei suoi versi c’è una muta sofferenza, una malinconia talmente profonda dall’esserne sopraffatto, come un guscio di noce in balia del mare in tempesta. Il suo dramma è una solitudine interiore, una sorta di chiusura alla monotonia della vita vissuta, intesa come un susseguirsi di eventi ripetitivi che non consentono di verificare differenze fra un giorno e l’altro. Le uniche emozioni che si possono provare sono quelle che nascono all’interno di noi stessi, pensando a quanto è restato del mondo dalle sue origini, senza la presenza distorcente dell’uomo. E’ un richiamo alla natura il suo, una natura quasi mitizzata e quindi tanto più appagante quanto meno reale. Anche nelle liriche d’amore c’è uno spirito rassegnato, quasi che l’incomunicabilità latente ponesse dei limiti allo scambio delle sensazioni, quasi che i sentimenti dovessero essere solo unilaterali. Quanto allo stile, lo stesso appare sopraffatto dalla necessità di esternare, di liberare l’animo dal gravame che l’opprime; di conseguenza è un effluvio di parole, quasi un torrente impetuoso e l’autore, se riuscisse a indirizzarlo verso il giusto alveo, con una ricerca più accurata della componente armonica, finirebbe con il regalarci liriche ancor più significative delle attuali.
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