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Tre figlie di Eva
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Tre figlie di Eva - Elif Shafak - copertina
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Tre figlie di Eva.

Descrizione


Tre ragazze, tre amiche con un retroterra musulmano, eppure così diverse: la Peccatrice, la Credente e la Dubbiosa.

«Possiedo una patria portatile. E so bene che, per quanto io possa essere stata nomade per tutta la vita, questa mia travagliata patria mi segue come un’ombra. I molti problemi della Turchia mi occupano la mente, mi opprimono il petto, mi gravano sull’anima, mi invadono il sonno. Ma so anche che per gli scrittori, per chi in tutto il mondo racconta storie, c’è una sola vera terra. Si chiama Storilandia.»Elif Shafak, La Repubblica

«L’amore per certi versi somiglia alla fede. È una sorta di fiducia cieca, no? La più dolce delle euforie. Ma se perdiamo la testa per amore, o per fede, la dolcezza si inacidisce. Soffriamo per mano degli dèi che noi stessi abbiamo creato.»

Peri ha trentacinque anni, tre figli, un marito e una vita agiata nella città dov'è nata, Istanbul. Si sta recando a una cena lussuosa quando le viene rubata la borsa. Lei reagisce, i ladri scappano e dalla borsa cade una vecchia polaroid in cui compaiono quattro volti: un uomo e tre giovani ragazze a Oxford. Una è Shirin, bellissima iraniana, atea e volitiva; la seconda è Mona, americana di origini egiziane, osservante, fondatrice di un gruppo di musulmane femministe e poi Peri, cresciuta osservando il laico secolarismo del padre e la devota religiosità islamica della madre, incapace di prendere posizione sia nella disputa famigliare sia nel suo stesso conflitto interiore. Tre ragazze, tre amiche con un retroterra musulmano, eppure così diverse: la Peccatrice, la Credente e la Dubbiosa. L'uomo nella foto invece è Azur, docente di filosofia ribelle e anticonformista, e sostenitore del dubbio come metodo di comprensione della realtà. A Oxford la giovane Peri cercava la sua «terza via», la stessa che predicava e professava Azur, di cui si innamora. Sarà questo incontro a sconvolgerle la vita, fino allo scandalo che la riporterà in Turchia. "Tre figlie di Eva" è un romanzo intenso e ambizioso che affronta e indaga temi importanti come la spiritualità, la politica, l'amicizia, i sogni infranti e la condizione della donna. Ma soprattutto è un romanzo sulla Turchia contemporanea, su quei contrasti che agitano oggi il paese - nelle parole di Elif Shafak - «delle potenzialità inespresse».
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Dettagli

2016
10 novembre 2016
448 p., Rilegato
9788817091183

Valutazioni e recensioni

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Francesca
Recensioni: 4/5
Carino

Cultura e fascino del mondo Turco che si intrecciano ad una storia familiare. La vita di tre donne così diverse tra di loro . Carino e scritto con la leggerezza dell’autrice (turca)

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Francesca
Recensioni: 4/5
Scorrevole

Ho letto quasi tutto di questa autrice. Mi affascina il mondo Turco e la “vita degli altri” . Non è il più bello che l’autrice abbia scritto, ma si fa leggere ed è scorrevole. I personaggi sono molto ben caratterizzati . Una storia di famiglia carina da leggere .

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Tatu
Recensioni: 3/5

Non sarebbe un brutto libro se non fosse così pretenzioso. Scrivere di filosofia e di vita reale, o sei Kundera o lascia stare... L'autrice invece non ha lasciato perdere, con il risultato di un libro "a metà", che non sfocia mai nella domanda interiore (di noi lettori a noi lettori). Peccato.

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Voce della critica

Tre ragazze, tre amiche con un retroterra
musulmano, eppure così diverse: la
Peccatrice, la Credente e la Dubbiosa.


In una conferenza TED tenuta nel 2013, Elif Shafak sosteneva che il potere delle narrazioni consiste nella possibilità di superare gli stereotipi e di influenzare, in minima parte, il pensiero delle persone, dando loro l’occasione di venire a contatto con realtà che non potrebbero altrimenti conoscere.

Con cosa ci mette a contatto Tre figlie di Eva? Divisa tra Oriente e Occidente, cresciuta in Turchia ma residente a Londra, Elif Shafak tratteggia con estrema lucidità il caos in cui versa Istanbul, un aggregato violento, una metropoli mutevole che cela, sotto il perbenismo di una cena borghese in una villa elegante sul Bosforo, la dittatura delle borsette firmate fasulle e la tirannia, ben più seria, della società maschilista e della censura.

È una scrittura minuziosa: quando l’autrice dice che La follia correva per le strade della città come una droga inebriante nelle vene, l’uso del verbo “correre”, il rimando all’adrenalina, al sangue, all’elemento corporale generano un quadro visivo di forte impatto. La “perdita collettiva della ragione”, il movimento ondulatorio delle masse che sembra ispirare questa insensatezza, ipnotizza anche chi, “a quel che risultava ad amici e parenti, era una persona buona”: nella fattispecie, Peri Nalbantoglu, la protagonista del romanzo, che dopo aver subito una rapina rischia di uccidere di percosse il proprio aggressore.
Ferita e con il vestito strappato, Peri si reca all’appuntamento con un gruppo di facoltosi. Al cambiamento di scena – il passaggio dallo spazio aperto a quello chiuso, dall’angustia del vicolo sporco allo sfarzo della villa – non corrisponde un mutamento d’animo: il delirio velenoso che irrompe in città sembra serpeggiare anche nell’intimità delle mura domestiche.

Noto sin dalle prime pagine che “leggere era il modo per rimanere connessa con l’universo”, viene subito facile intuire come per Peri l’esposizione alla vita sociale turca risulti solo una violazione della sfera personale. I personaggi che girano intorno alla serata, a conferma di questa supposizione, si rivelano insinuanti, invadenti, falsi, le discussioni che conducono sgradite e disturbanti: il concetto di democrazia è dato per superato, lo Stato è un padrone che tiene al guinzaglio tutta la popolazione – specie i suoi membri più potenti –, la “stabilità” che deriva da un governo autoritario è considerata garanzia di serenità e sicurezza.

Quando cominciano a scavare nel suo passato, il prurito della protagonista lascia spazio a una sottile aggressività. I flashback che si susseguono, prima nella Istanbul degli anni Ottanta e Novanta e poi nella Oxford agli albori degli anni Duemila, restituiscono una Peri più remissiva e meno consapevole. Una Dubbiosa, per riprendere la definizione che le viene data nel romanzo, in contrasto con la religione islamica eppure incapace di distaccarsi da questa. Accanto a lei, la Peccatrice, Shirin – l’amica atea – e la Credente, Mona, disegnano il triangolo speculare dello sfaccettato mondo musulmano. I quesiti su Dio e gli interrogativi che spaccano Peri percorrono la narrazione ambientata nel Duemila, ma il romanzo risulta una storia di identità, di amore, di gelosia, una vicenda che confluisce infine nella più problematica aspirazione umana: il perdono.

Elif Shafak ha dichiarato di scrivere in inglese quando vuole adottare un approccio più cerebrale. Tre figlie di Eva è stato scritto in questa lingua e si nota, in effetti, un certo rigore nell’impianto narrativo e una prammatica razionalità anche nella descrizione dei sentimenti. Il racconto è fluido, scorrevole, e le descrizioni sono puntuali, mai virtuosistiche e, come si diceva all’inizio, estremamente precise nella loro forza espressiva. Un romanzo che dà adito a tanti interrogativi e dal quale, come Occidentali, dobbiamo sentirci chiamati in causa.

Recensione di Federica Urso

 

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Conosci l'autore

Elif Shafak

1971, Strasburgo

Elif Shafak è una pluripremiata scrittrice turco-britannica. Scrive sia in turco che in inglese e ha pubblicato 18 libri, di cui 11 romanzi, tradotti in 54 lingue. Il suo romanzo 10 minuti 38 secondi in questo strano mondo (2019) è stato selezionato per il Booker Prize e l'RSL Ondaatje Prize, ed è stato scelto ocme libro dell’anno dalla storica catena britannica di librerie Blackwell; mentre Le quaranta porte (2009) è stato inserito da BBC tra i 100 romanzi che hanno plasmato il nostro mondo.Shafak ha un dottorato di ricerca in Scienze politiche e ha insegnato in varie università in Turchia, negli Stati Uniti e nel Regno Unito, tra cui il St Anne's College dell'Università di Oxford, di cui è borsista onoraria. È membro e vicepresidente...

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