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Tre per due - Oreste Pivetta - copertina
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Tre per due - Oreste Pivetta - copertina

Descrizione


«Sono qua. Intendo dire in questo bel supermercato, avvolta dagli ziizipziidelle casse che macinano conti, dai crashcresh dei carrelli che s’arrotano sotto queste luci. Neanche in cielo ci sono tante stelle».

Cecilia in trincea, alla cassa numero otto del Super, armata di lettore ottico d'ordinanza e di speranze senza nome. Il Super è al centro del Centro, il nuovo suk al neon sorto all'improvviso in una periferia qualunque, scaglia di città ottusa, dove tutto si sbava e si crepa, subito: dove anche i topi hanno un punto di vista. Davanti alla trincea numero otto scorrono sbattendo i carrelli colmi di merci. In fila, le facce imbronciate della normalità senza volto, vite effimere, aliti di sogni precotti. Tutto il male della banalità, proprio sotto casa e in offerta speciale. Ma a Cecilia piace Mario il magro, elegante e dai silenzi bugiardi. Angelo invece è pensionato, va spesso al Super perché non ha niente di meglio da fare, tranne pedinare un impiegato e la sua borsa nera. Eccola la borsa, accanto a un cadavere nell'angolo più buio del parcheggio sotterraneo. E lì, vicino ad una macchia di sangue che invece era gelato, che ci fa un coltellino d'oro?

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Dettagli

1994
1 gennaio 1994
144 p.
9788879890687

Voce della critica


scheda di Voltolini, D., L'Indice 1994, n. 9

Strano fenomeno davvero quello per cui un libro, quando vede la luce, subito si inserisce in una rete di affinità sotterranee con altri testi, magari indipendentemente dalla volontà di chi lo ha scritto, mettendosi a risuonare con materiali prodotti in un tempo lontano, lontani anche stilisticamente. "Tre per due" mi ha fatto venire in mente un bellissimo romanzo di Perec, scritto nel 1965, intitolato "Le Cose" (Rizzoli, 1986). Pivetta abbozza un andamento giallistico minimo e lo riveste con un velo di suggestioni da fantascienza sociologica. Appena un velo, tanto da comporre con questi due elementi il minimo impasto necessario a sorreggere una narrazione che ha il suo punto di forza nella descrizione di una cosa molto difficile da descrivere: la qualità della vita. Si tratta di una vita prossima ventura, verso la quale stiamo scivolando e che non è molto lontana, direi che sta tra domani mattina e la fine del secolo. Unità di luogo: "Tre per due" (nel senso che paghi due e prendi tre) si svolge in un centro commerciale ai margini di una città italiana del nord. All'interno del centro commerciale iperfunzionale e smagliante nei suoi cementi e nei suoi vetri, c'è un supermercato. A una delle casse sta Cecilia e vede il mondo passare. Il mondo è quello lì, con un poco di cornice esterna, condomini, strade, bar, marciapiedi, appartamenti. Un mondo. Cecilia vi appartiene completamente, tant'è che va fiera di abitare a due passi dal posto di lavoro: è comodo, non deve prendere la puzzolente metro, non ama andare in centro. Angelo ormai vi appartiene, Mario vi appartiene, le colleghe, i clienti vi appartengono. Cosi pure il sospetto di giochi poco puliti, il morto, la borsa di pelle nera che passa di mano in mano. Quello che Pivetta intende fare è descrivere questo mondo e il modo in cui vive chi lo popola. E la vita in quel mondo è alienata - questo è esattamente il punto di risonanza col diversissimo romanzo di Perec - ma non perché l'universo è claustrofobico, bensì perché è autosufficiente (una sola piccola crepa: le verdure fragranti che giungono dalle campagne). Ora, per scrivere un romanzo sull'alienazione occorre raggiungere un punto ben preciso di equilibrio dello sguardo, una distanza dall'oggetto che non è più quella del cronista e non è ancora quella del sociologo. È più simile a quella di certi antropologi, ma non basta ancora: occorre avere un'ideologia del bene e del male che l'antropologo non può permettersi. Questo era lo sguardo di Perec, non in generale, ma in quel particolarissimo romanzo sugli anni sessanta, e su questo punto converge "Tre per due", a distanza di trent'anni. Sotterranee, interessanti affinità.

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La recensione di IBS

Cecilia in trincea, alla cassa numero otto del Super, armata di lettore ottico d'ordinanza e di speranze senza nome. Il Super è al centro del Centro, il nuovo suk al neon sorto all'improvviso in una periferia qualunque, scaglia di città ottusa, dove tutto si sbava e si crepa, subito: dove anche i topi hanno un punto di vista. Davanti alla trincea numero otto scorrono sbattendo i carrelli colmi di merci. In fila, le facce imbronciate della normalità senza volto, vite effimere, aliti di sogni precotti. Tutto il male della banalità, proprio sotto casa e in offerta speciale. Ma a Cecilia piace Mario il magro, elegante e dai silenzi bugiardi. Angelo invece è pensionato, va spesso al Super perché non ha niente di meglio da fare, tranne pedinare un impiegato e la sua borsa nera. Eccola la borsa, accanto a un cadavere nell'angolo più buio del parcheggio sotterraneo. E lì, vicino ad una macchia di sangue che invece era gelato, che ci fa un coltellino d'oro?

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