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Tutta colpa della Tivù. I vizi (e le virtù) della nostra, quotidiana «piazza universale» - Gian Paolo Caprettini - copertina
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Descrizione


"Cattiva maestra", come diceva Popper, puro contingente, come la definiva Enzensberger, fonte di ogni male, dall'estinzione del congiuntivo alla crisi della coppia. Eppure tutti continuano a guardare la televisione. Questo volume è un'analisi dei generi che affollano i palinsesti, per comprenderne i meccanismi, in una galleria di veggenti televisionari, massaie da nouvelle cuisine, televenditori e presentatori in guerra con la grammatica. La tivù alta e quella bassa, apparentemente distanti, si incrociano e si sovrappongono come due facce della stessa medaglia. L'autore ne mostra il funzionamento per rendere meno passivo e più disincantato il telespettatore.
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Dettagli

2004
13 ottobre 2004
VII-133 p., Brossura
9788879898676

Voce della critica

In questo breve saggio che raccoglie alcuni interventi già usciti sulla "Stampa", Gian Paolo Caprettini, semiologo e studioso di comunicazione, ricerca e destruttura i luoghi comuni che affliggono, impaludandolo, il dibattito sulla televisione. Con atteggiamento ironico e disincantato passa in rassegna i vizi, tanti, e le virtù, potenziali, che la tv attuale è in grado di esprimere.

Muovendo dalla considerazione iniziale che essa è luogo di condivisione di idee, conoscenze e rappresentazioni, l'autore compie un'analisi degli effetti concreti che il palinsesto televisivo sortisce sulla società e sul comportamento quotidiano dell'individuo. "Zappando" da una televendita a un talk show, da una cartomante a un elettrostimolatore, individua nella merce l'elemento centrale del discorso televisivo, e nella "carnevalizzazione permanente" la forma della sua rappresentazione.

Tuttavia la conclusione meno sorprendente ma più preoccupante cui approda è che "la tv si inscrive nella trama della vita quotidiana fornendole elementi di ordine, punti di riferimento", "insegnandoci cosa dovremmo o non dovremmo fare". La costruzione di un "set della vita", locuzione utilizzata per indicare la fiction da noi quotidianamente vissuta, creata e sostenuta dalle notizie diffuse dai telegiornali, è infatti in grado di farci perdere la capacità di presa sulla situazione reale.

Un fenomeno ancor più grave alla luce degli effetti che ne derivano nell'ambito della competizione politica, e nell'esercizio dei diritti/doveri del cittadino (figura perno della democrazia rappresentativa). Al consueto uomo politico si sostituisce la figura del capotribù che privilegia le relazioni polemiche ed emotive a quella contrattuali e argomentative, funzionalmente meno valide ma televisivamente più spettacolari. Contemporaneamente assistiamo impotenti alla perdita di competenza e allo svuotamento della figura del cittadino in seguito alla dilagante e pervasiva presenza televisiva e all'impoverimento dei suoi contenuti informativi. D'altronde, l'autore suggerisce, i media, fonte e veicolo di potere, difficilmente potranno farsi portatori di concezioni opposte o alternative a quelle elaborate da uno stuolo di persuasori e manipolatori profumatamente stipendiati.

Ora la tv ha già dimostrato che raccontando la realtà mediante lo specifico linguaggio che le è proprio è in grado di determinare, nella realtà del mondo extratelevisivo, incredibili effetti derivanti dalla sua rappresentazione mediatica (si pensi alla conduzione del conflitto iracheno pianificato e condotto per essere raccontato tramite il mezzo). Se a ciò aggiungiamo che è diventata il terzo polo educativo fra scuola e famiglia, ecco spiegato perché l'autore concluda auspicando una soluzione al dilagare dell' homo videns . Soluzione individuata nell'educazione tanto alla fruizione quanto ai meccanismi di produzione dei contenuti televisivi. Solo così saremo in grado di rintracciare all'interno del discorso della "zuppa televisiva" i vari generi, presupposto per una corretta fruizione del testo e antidoto alla manipolazione.

La conclusione utopica-fantascientifica sembra tuttavia suggerire la consapevolezza circa l'inattuabilità, stante le condizioni, di tutto ciò che già si sa ma che ancora non si fa. O forse il discorso è ironico e apparentemente fantastico perché solo il giullare può dire che il re è nudo.

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