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2000
23 gennaio 2007
3 voll., XXVII-2307 p.
9788883193903

Voce della critica


recensioni di Rizzuti, A. L'Indice del 2000, n. 07

La pubblicazione degli articoli scritti da D'Amico sull'"Espresso" è un'impresa editoriale memorabile, destinata a rimanere a lungo unica in Italia. Il motivo, a parte la vivacità dello stile e l'effervescenza della stagione di cui l'autore fu testimone, è riconducibile a due dati tecnici: l'ampio spazio allora a disposizione della critica, e la scadenza settimanale. Ossia, le condizioni ideali per andare a concerto preparati, farsi un'idea della serata, sondare gli umori in sala, tornare a casa, abbozzare il pezzo, rifinirlo smussando le asperità, limare le imperfezioni e portarlo in redazione.
Per raccontare un modo ormai remoto d'intendere il servizio culturale abbiamo ritenuto utile un lavoro a più mani. Alberto Papuzzi traccia un profilo dell'"Espresso" anni sessanta, quello formato lenzuolo, su cui - colosso per colosso - D'Amico esordì recensendo un'esecuzione del Ballo Excelsior; Goffredo Petrassi, compositore la cui produzione fu per D'Amico oggetto di attenzioni costanti, affida a Giorgio Pestelli il ricordo di un compagno comune ma tutt'altro che "comune"; oltre a fornire una biografia in pillole, chi scrive cerca di mettere a fuoco il taglio delle oltre settecento cronache senza togliere a chi vorrà inventarsi un percorso autonomo fra di esse il privilegio di scovare i mille spunti geniali che le popolano.
Quando, all'età di sette anni, Petrassi parte da Zagarolo diretto a Roma, lo fa a bordo di un carro dell'uva. Arrivando in via del Corso, la trova invasa da un gregge di pecore. È il 1911: D'Amico nascerà l'anno dopo, e quello sarà lo scenario in cui lui, figlio di un grande storico del teatro, aprirà gli occhi. Quando Petrassi scrive la sua prima opera importante, la Partita per orchestra (1932), D'Amico ha appena individuato il mestiere di una vita, quello del critico musicale. Due anni scarsi di lavoro al "Tevere" (1931-32, in parallelo con gli studi giuridici) gli sono sufficienti per capire che la sua ribalta non è però il giornale; infatti, finita quella collaborazione, risponderà sempre picche alle offerte dei quotidiani. Nei trentacinque anni che ancora lo separano dall'esordio sull'"Espresso" compone colonne sonore, esercita la critica su vari periodici, scrive libri (negli anni di guerra una monografia su Rossini, una su Musorgskij e una su Petrassi) e lavora, ricoprendo vari incarichi in organizzazioni concertistiche e in case editrici, all'obiettivo perseguito con la determinazione più viva: la sensibilizzazione della cultura italiana a quei Casi della musica che forniranno il titolo al suo libro più famoso (1962). Nel 1963 ottiene il primo incarico alla "Sapienza", dove insegnerà per vent'anni a vivere la musica, come lui farà fino al termine dei suoi giorni (1990).
D'Amico non ha mai fatto mistero della propria idiosincrasia per la musica riprodotta, e ha sempre chiesto alla musica dal vivo emozioni e stimoli (altra circostanza strana e dunque in linea col personaggio: la curatela dei suoi scritti se l'è sobbarcata Luigi Bellingardi, il maggior critico discografico della sua generazione). Infatti nelle sue cronache si trova sempre il riferimento all'attualità culturale, l'accenno al motivo per cui di un certo fatto val la pena di discutere, la digressione rivelatrice di verità nascoste.
Per dare un'idea dello scetticismo salvifico di D'Amico basta smontare un suo paragrafo. Esempio: cronaca n. 224; argomento: il rincorrersi di interrogativi sul futuro di un soprano di nome Katia Ricciarelli, ascoltato nella Giovanna d'Arco di Verdi. Dopo l'esordio da bravo giornalista - chi-come-cosa-dove-quando in cinque-righe-cinque - ecco il "caso": "Nessuno che faccia il mio mestiere incontra un conoscente che non gli chieda: ma davvero questa Ricciarelli? Cosa vale? Avremo presto una seconda Callas? O comunque, un'altra 'grande cantante'?". Risposta per il lettore che non sa bene, proprio il target di D'Amico: "Difficile far capire che la voglia d'un'altra Callas è altrettanto futile quanto lo sarebbe quella d'un secondo inventore della tavola pitagorica, o della lampadina elettrica"; approfondimento con boutade: "E così la voglia d'una 'grande cantante': come se di grandi cantanti non ce ne fossero oggi anche troppe"; quindi, goccia d'antidoto contro eventuali istinti campanilistici: "poco importa se così di rado italiane (i soprani di qualità si possono pur sempre pendolarmente importare...)". In cauda... focus, ovviamente d'artificio: "diversamente dai tromboni d'orchestra (...), una bella covata dei quali, tra noi, sarebbe fortuna assai più preziosa".

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