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Tutti i bambini tranne uno - Philippe Forest - copertina
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Tutti i bambini tranne uno

Descrizione


I corpi amati scompaiono, mentre le parole che verranno fabbricate dopo la morte non salvano e non abbelliscono nulla

«Un libro dolente e poetico insieme. Forest, professore di letteratura a Nantes, critico d'arte, segue passo passo il calvario della bambina: ma fa lieve la pagina parlando delle ultime vacanze con lei, dei giocattoli e delle favole preferite, la pazienza e il coraggio di quella creatura, matura di fronte al dolore» - Il Tempo

«"Tutti i bambini tranne uno" di Philippe Forest è un romanzo su un dolore indicibile... Non c'è nulla di consolatorio, non si fa leva su autovittimismo e sentimentalismo. C'è la consapevolezza amara e totale che "la morte non cancella tutta la bellezza del mondo"» - Giornale di Sicilia

«Un libro che tralascia qualsiasi intento consolatorio e riesce nell'intento di fermare il tempo» - Il Venerdì di Repubblica

"Il lungo anno in cui morì nostra figlia fu il più bello della mia vita." Una frase così, la può dire solo un padre: un padre sfacciatamente innamorato, arrogante, disperato, esibizionista, inerme, sarcastico, corazzato di tutta l'eloquenza della lingua francese. Philippe Forest ci racconta la vita e la morte di Pauline dal primo all'ultimo giorno. Pauline è una bambina di tre anni che ha un lieve dolore al braccio sinistro. Il pediatra, un po' preoccupato, le prescrive una serie di analisi. Si tratta di un cancro rarissimo che si diffonde rapidamente e le fa gonfiare l'arto. I genitori, Alice e Philippe, seguono costernati l'ingranaggio clinico. Dopata di morfina, la bimba subirà un'operazione... è un successo di breve durata, la "pallina" torna e con essa il dolore. Dopo il calvario di più ospedalizzazioni risulta che il male ha raggiunto un polmone. Una seconda operazione riesce, ancora una volta, a sopprimere il tumore e tuttavia "il cancro era come una fiamma che correva su un grande foglio di carta". Si estende all'altro polmone, impedisce alla bimba di respirare. Stavolta è veramente la fine, è soltanto una questione di ore, di minuti. I genitori assistono alla morte della loro unica figlia. Questa la trama, fredda, spietata. Philippe Forest non lo è. Con una scrittura vibrante e poetica racconta le giornate di vacanza con Pauline, i suoi giocattoli preferiti, le fiabe condivise, la pazienza e il coraggio di quella creatura, la sua maturità di fronte al dolore e all'impensabile. Intreccia e fonde questa storia con la storia della letteratura, lascia che venga sbranata dalla letteratura proprio perché ha imparato che i corpi amati scompaiono, mentre le parole che verranno fabbricate dopo la morte non salvano e non abbelliscono nulla.
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Dettagli

2018
29 agosto 2019
352 p., Brossura
9788860445605

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Giuditta
Recensioni: 5/5

Un libro che cambia il tuo approccio a molte cose della vita. Intenso.

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Giuditta
Recensioni: 5/5

Bel libro piacevole da leggere e anche da rileggere. Uno di quei libri capaci di arricchirti.

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Voce della critica

Splendido e tremendo Forest, il bimbo che muore è eterno

Le band si sciolgono. Le case editrici chiudono, anche quelle di tendenza, come Isbn, anche quelle che hanno meriti innegabili, come Theoria, e ne dimentichiamo tante altre. E poi ci sono quelle che vengono assorbite da sigle più floride, più vitali e in salute. È l’esempio dell’elegante marchio padovano Alet, confluito mezza dozzina d’anni fa nella galassia Fandango, che adesso recupera un romanzo giunto alla sua terza vita, dopo la prima edizione appunto per Alet, la ristampa economica per Bur, torna adesso in una bel volume Fandango. Cosa accomuna le tre versioni? La traduzione di Gabriella Bosco, che è una garanzia. Il romanzo è del 1997, il primo e più famoso del francese Philippe Forest, in italiano tradotto come Tutti i bambini tranne uno (352 pagine, 18,50 euro).

Il romanzo è splendido, tremendo e destabilizzante. Comincia col riferimento a una fiaba, a Peter Pan, finisce in una stanza fredda. Non bisogna essere necessariamente genitori per comprendere la sofferenza che rimbalza fra capitolo e capitolo, essere genitori, però, aiuta. C’è di mezzo il più terribile dolore, il più difficile anche solo da immaginare, quello intollerabile per eccellenza, «scandalo che fa tacere ogni metafisica, al cui confronto qualsiasi dramma assume movenze da abile minuetto». Quando tutto è compiuto, quando la sua Pauline (la figlia avuta da Alice), quattro anni, spira a causa di un tumore alle ossa, nelle ultime pagine Forest scrive: «La morte non cancella tutta la bellezza del mondo. La rende solo inutile e la trasforma in splendore vano». E, ancora, scrive: «Il bambino che muore è eterno. Ha le ore contate ma il tempo per lui si apre in orizzontale». La storia di Pauline torna, in vari modi, anche in alcuni libri successivi dell’autore francese ma nel primo trova, a cominciare dall’enormità di una diagnosi che tutto distrugge, compimento pieno. Il segreto? Trovare le parole per dire qualcosa che si sottrae alla comprensione e spiegare a se stesso, prima che agli altri, l’ultimo anno di vita della figlia.

È il racconto di una ricerca di normalità in un percorso doloroso, che scansa il vittimismo nella consapevolezza totale, finale però che «le parole non danno nessun soccorso» e lo stesso vale per la «dolcezza nell’orrore» vissuta in tre, nella voglia di dare un senso all’ultimo anno di vita di Pauline. Inevitabilmente si rincorrono anche riflessioni sulla letteratura (su autori con una sorte simile alla sua, Mallarmé e Hugo, e non solo), sull’arte e sulla religione (credere però che salvino o consolino è fuorviante…). Forest era un saggista (esperto di letteratura giapponese, in particolare), ma la vita lo chiama a essere, suo malgrado e con scetticismo, narratore. Narratore che non riesce a fermare il tempo, che non omette e non si autocensura, disarmato come i poeti più sublimi dinanzi all’abisso della morte.

Il rischio dell’ostentazione dei sentimenti, del pathos a tutti i costi, è sempre dietro l’angolo, ma è una pornografia a cui Forest non s’aggrappa mai; non arretra davanti alle emozioni, ma il facile sentimentalismo è uno spettacolo che con lui non va in scena, lo scrittore francese sceglie la strada più difficile, che comporta pagine “insopportabili” per quanto iperrealiste, ma mai nichiliste o fini a se stesse. La cosa più evidente? La colpevolezza di chi scrive letteratura: «Scrivere aggiunge ancora qualcosa alla vergogna di essere rimasti vivi». Narrativa o poesia possono al massimo testimoniare, cercano di affrontare l’insuperabile, di aggirare l’irrazionale, ma non permettono di lasciarlo alle spalle.

Recensione di Micol Treves

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Conosci l'autore

Philippe Forest

1962, Parigi

Philippe Forest è uno scrittore francese. Critico letterario e cinematografico, è autore di saggi sulla letteratura contemporanea (Storia di Tel Quel, Histoire de Tel Quel, 1995, nt) e di romanzi (Tutti i bambini tranne uno, L’enfant éternel, 1997; Per tutta la notte, Toute la nuit, 1999; Sarinagara, 2004; L’amore nuovo, Le nouvel amour, 2007; Il secolo delle nuvole, Le siècle des nuages, 2010) concepiti come strumenti di analisi autobiografica e di indagine di contesti culturali complessi. Nelle opere critiche più recenti ha indagato la relazione tra genere romanzesco e realtà: Il romanzo, il reale. Un romanzo è ancora possibile? (Le roman, le réel. Un roman est-il encore possibile?, 1999), Il romanzo, l’io. (Le roman,...

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