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A Mario Albertini (1919-1997), grande antagonista di Altiero Spinelli nel Movimento federalista europeo degli anni sessanta, si deve una delle più importanti rielaborazioni della teoria del federalismo nel Novecento. Può forse risultare utile ricordare innanzitutto la distinzione che egli propose, nell'accostamento a ogni "comportamento sociale", tra l'aspetto di valore di tale comportamento (il fine verso cui è diretto), l'aspetto di struttura (la forma assunta da esso per realizzare i suoi scopi) e l'aspetto storico-sociale (le condizioni nelle quali il comportamento si può diffondere e consolidare). Nel caso del federalismo l'aspetto di valore è costituito, secondo Albertini, dalla "pace perpetua" kantiana; l'aspetto di struttura è rappresentato dal riferimento a un modello federale concretamente esistente, e dunque trae soprattutto spunto dall'esperienza della federazione americana; l'aspetto storico-sociale, infine, consiste nella bipolarizzazione dei comportamenti politici diffusi, tra l'appartenenza alla comunità statale di origine da un lato e il sentimento di un destino comune con i cittadini dei diversi stati dall'altro.
Uno degli aspetti più rilevanti che emergono dai due volumi pubblicati è il proficuo dialogo di Albertini con i grandi classici del pensiero politico, un confronto non privo di asperità polemiche, ma altresì rivelativo della solida cultura politica in cui affondano le radici della riflessione federalista dell'autore. Si vedano, ad esempio, le osservazioni sulle dottrine di Kelsen: il dogma giuspositivista della sovranità, secondo Albertini, conduce alla negazione del diritto internazionale come ordinamento giuridico soprastatale, e di conseguenza, in tale prospettiva, "per sapere se è giusta la guerra dell'uno o dell'altro belligerante, bisogna aspettare l'esito della guerra". Un testo centrale negli studi di Albertini, poi, non poteva che essere Il federalista, opera di cui egli mette in luce il costante riferimento critico all'Europa: se l'America si fosse accontentata dello "pseudovincolo confederale", nella prospettiva di Hamilton, Madison e Jay, "avrebbe ripetuto la logica europea, quella della politica di equilibrio tra Stati sovrani". La polemica anticonfederalista dei tre autori viene così ad agganciarsi con quella di Albertini, nel caso europeo, contro un'integrazione economica realizzata senza unità politica: a suo avviso, infatti, le buone ragioni dell'unità europea coincidono perfettamente con la linea del Federalista.
Gli scritti raccolti nei due volumi mostrano, più in generale, l'evoluzione degli interessi culturali di Albertini, dall'esaltazione del liberalismo "di sinistra" ed "europeo" di Gobetti negli anni quaranta alla polemica contro le pretese di un'astratta "scientificità" in politica (in una lunga riflessione del '50 sul "neomachiavellismo" di James Burnham), per giungere, naturalmente, a una reiterata critica dello "Stato-nazione democratico". "La democrazia nazionale si legge ad esempio in una relazione del 1956 è fallita" perché la democrazia dovrebbe realizzare delle "società aperte", mentre "lo Stato-nazione, sia esso democratico oppure no, a livello internazionale ha dato vita a delle società chiuse".
Giovanni Borgognone
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