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Fantastico. Finalmente la critica teatrale siede di nuovo in platea per restituire immagini dello spettacolo visto. Solo due crucci: l'esiguità del libro (e magari la presenza di qualche foto d'accompagnamento) e l'interrogativo finale: dov'è che l'autore scrive? su quale giornale pubblica?
La scena come cava buia, dalla quale appaiono tratti netti all'improvviso. La voce di un attore, che calca il palco da decenni; la trama di un colore, che si dipana su di un lato facendosi scenario; il tintinnio di un vocabolo che pizzica e che rende più di quanto renda l'intero flusso di un proclama. In tempi di certezze critiche barbute e assolutiste la prosa di Annibale Rainone riporta al Teatro inteso come effimera stanza di bellezza in cui - se capita, quando capita - l'estasi tremola i contorni offrendosi come si offre ciò che è raro o che si reputa prezioso. "La vita perturba, come il mare una nave" si legge; si legge "un rincasare di organi da cassaforte violata su un fiorire di note, come ferraglia o chiavistello" e si legge ancora "Ambienti. Stazioni, bar, strade trafficate di Shangai, la carlinga di un aereo, l'interno/ esterno di uno studio d'arte a Shenzhen" e "Mappe. Tatuaggi, scritture, copie al nero" e sovvengono piccoli barbagli di luce immensa, tratteggi all'aria, squittio d'attori che come fantasmi lievi pestano e ripestano una ribalta di legname offrendo trucchi, allegorie, metafore e chissà quale prodigio ormai passato. Scriveva un tempo Ripellino che "ogni spettacolo è un castello di sabbia", costretto a una caduta che ne sfibra l'illusione consistente: d'esso non resta che la sagoma sfrangiata di un ricordo già sfuggente. Annibale Rainone, con prosa d'arte vera, del castello ripellianiano fa nuova costruzione, ponendo un granello ad un granello, una goccia ad una goccia, un ricordo ad un ricordo. In tempi d'assenza della critica, il piccolo libretto lo si tiene caro, stretto al palmo della mano.
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